Eventi, LE NEWS

“I Misteri del Vaso Etrusco” apre una affascinante stagione letteraria…


“Sulla strada degli Etruschi”, progetto ideato dall’attore e regista Agostino De Angelis, riserva l’apertura della stagione letteraria alla presentazione del mio romanzo “I Misteri del Vaso Etrusco” (Edizioni Universo). Un onore per me presentare il libro nell’incantevole location del Museo Nazionale Etrusco Cerite, in un’occasione tanto significativa. L’evento, che avrà luogo domenica 4 febbraio alle ore 16:30, è promosso e in collaborazione con il Parco Archeologico Cerveteri Tarquinia, organizzato dall’Associazione Culturale ArcheoTheatron e dall’Academy for Theater and Cultural Heritage con il patrocinio della Regione Lazio.

Io insieme all’attore e regista Agostino De Angelis

L’Appuntamento si inserisce anche nell’ambito della domenicalmuseo, iniziativa del Ministero della Cultura che consente l’ingresso gratuito, ogni prima domenica del mese, nei musei e nei parchi archeologici statali. Ad accoglierci il direttore del Parco Archeologico Cerveteri Tarquinia Vincenzo Bellelli, mentre dialogherà insieme a me lo scrittore e giornalista Riccardo Dionisi, alla scoperta delle molteplici sfumature che caratterizzano una comunità di provincia. Le vecchie faide, il chiacchiericcio nel negozio della parrucchiera, dove si decidono i destini di tutti, gli scandali e gli inganni, l’unione di fronte alle nuove sfide. Un mondo indagato in modo attento e divertente, dove un’anziana si batte con tutto il cuore per salvare i nipoti dalle conseguenze della crisi economica, dell’abbandono dei piccoli centri, di un male misterioso, senza diagnosi. Tre vite ordinarie che diventeranno straordinarie e indimenticabili.

La presentazione sarà arricchita da momenti recitati di Agostino De Angelis, mentre alcuni dialoghi verranno resi in forma teatrale grazie alla partecipazione di MariaPia Gallinari, Eleonora Pini e gli allievi del corso di Cinema Santa Marinella Viva di Sonia Signoracci: Monia Marchi, Riccardo Frontoni, Andrea Vella, Nerina Piras, Riccardo Dominici, Filippo Soracco. L’iniziativa è patrocinata anche da: Rivista Archeologia Viva, Firenze ArcheoFilm Festival, tourismA.   

Vi invito a partecipare numerosi, l’ingresso è libero!

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LE NEWS

Ho scritto tanto anche di questo…


DELITTI POSTDATATI, da pag. 75 CAP XIII

Dallo scrigno della signora Luisa…

… “Vedi Mariuccia, Franz era intimamente convinto che la razza ebrea fosse il male del mondo, per lui non era una semplice dottrina politica. E anche qui da noi, sai, era già qualche anno che venivano applicate le leggi razziali. Anche se a me, fino a quel momento, gli ebrei erano sembrate persone normali. Insomma, vedendo la mia titubanza, lui iniziò a leggermi, durante i nostri incontri, dei testi che mi aprirono la mente, I Protocolli dei Saggi di Sion. In quelle ore, sdraiata sotto le coperte insieme a lui dopo aver fatto l’amore, al suono della sua voce, tutto iniziò a trovare la giusta spiegazione. Anche se negli anni successivi questi testi vennero tacciati come falsi, Franz ed io sapevamo che erano autentici. Vi si spiegava il piano operativo degli ebrei, i loro metodi per ottenere il dominio del mondo attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione e della finanza. Infine il loro obiettivo di sostituire l’ordine sociale tradizionale. E infatti già possedevano la maggior parte delle ricchezze, a scapito delle altre razze che ne avevano diritto”. A Mariuccia la pelle aveva iniziato a rabbrividire, mentre la vedeva sistemare una serie di fogli e con disinvoltura giustificare, anzi difendere, quella che era stata la vergogna dell’umanità. La signora aveva continuato e il suo sorriso, improvvisamente, era divenuto tremendamente cinico, “La Germania continuava a vincere le sue battaglie, e anche l’Italia ne beneficiava, ma c’era bisogno di riprendere ciò che di diritto apparteneva alla razza ariana, le loro immense ricchezze accumulate dai giudei con l’inganno e l’astuzia”.

Mariuccia, seppure pietrificata, si era alzata ugualmente quando l’anziana glielo aveva chiesto, “Vieni a vedere, cara, così forse mi capirai,” con le gambe tremanti e la mente offuscata, lei aveva sbirciato i fogli sottili e ingialliti come vecchia carta velina, che riportavano solo uno sterile elenco di nomi. Anche questi erano scritti su pagine che mostravano impresso, in alto a destra, lo stemma del fascio italiano. I nomi erano battuti a macchina uno sotto l’altro, “Vedi,” aveva continuato a spiegare la signora, “quando c’è una riga saltata è perché quei nomi appartenevano a un nucleo familiare”.

Infatti, alcuni nominativi sembravano isolati dall’elenco generale. Mariuccia aveva trovato finalmente il coraggio di chiedere: “A chi si riferiscono signora?”

“Quando Franz mi spiegò bene come stavano le cose e mi chiese di prendere questi documenti tra le carte di mio padre, io non esitai a darglieli. Del resto avevo libero accesso ai vecchi archivi del mio defunto papà. Gli elenchi, mia cara, presentano i nomi degli ebrei di Roma, alcuni li conoscevo personalmente, sai? Anche i loro bambini. Pensa che giravano già con la stella di David cucita sugli indumenti”.

E a Mariuccia era mancata l’aria, all’improvviso. Quella casa nella quale non vedeva l’ora di giungere il lunedì mattina e che nettava con amore, lasciandola sempre profumata di pulito, in quel momento le sembrava solo una trappola mortale. D’un tratto pareva che le pareti le cadessero addosso, come le accadeva nella cella della prigione. Senza riflettere si era addirittura attaccata al bicchiere d’acqua, dal quale aveva da poco bevuto la vecchia.

“Ti senti male cara?” le aveva domandato premurosa la signora.

“No, è stato un attimo,” aveva risposto lei pronta. L’anziana intanto, con grande disinvoltura aveva ripreso a parlare “Alcune di queste persone si rivolsero a me, quando agli ebrei venne assicurata la libertà in cambio del versamento di tutti i loro beni, nell’estate del ’43. Io li rassicurai che se avessero seguito le direttive del Terzo Reich a loro non sarebbe stato torto un capello, anche se ero certa che le cose non stessero in quel modo,” si era soffermata sorridendo e indicando un nome in particolare, al quale seguivano altri tre nominativi, una famiglia quindi. “Questa signora mi è rimasta impressa. Era vedova con tre figli e, per ringraziarmi dei consigli, mi volle regalare la fede d’oro del marito,” il suo sorriso era divenuto un ghigno, “di loro, cara, non seppi più nulla. Nell’ottobre del ’43 Franz e i suoi li mandarono via da Roma. Lui mi disse che era un modo per tenerli lontani dalle tentazioni, per farli stare tutti insieme, in fin dei conti era per il loro bene, ma poi molti anni dopo, seppi cosa fosse accaduto. Del resto ci sarà stato un motivo per il quale quella ebrea era una razza da sottomettere, ti pare? Anche i cattolici lo dicevano, erano stati loro a crocefiggere Gesù!” aveva infine commentato con sguardo fiero.

I SUOI PASSI LEGGERI

Dall’ antologia I doni della mente

Non mi è mai piaciuto mio nonno, dico sul serio. Anzi per la verità non sono mai riuscito a soffrire la sua presenza dentro casa nostra. La nota stonata che trasformava la melodia della nostra vita familiare in una nenia tediosa che non si aveva voglia di ascoltare. Eppure non c’era nulla da fare, nonostante avessi più volte manifestato la mia insofferenza a quella presenza pesante e deprimente, tutta la mia famiglia si univa compatta dalla sua parte, lasciandomi solo. Mi chiedevo perché mai i miei genitori nutrissero devozione verso quel rottame umano che minava la nostra serenità. Mio padre era aperto a ogni dialogo con me e mio fratello più piccolo e la comprensione che mia madre aveva nei nostri confronti era infinita. Sì, ma non per ciò che riguardava l’argomento nonno. Così io capii ben presto che era inutile insistere. Avrei dovuto sopportare quell’uomo con i suoi occhi affossati e cerchiati di nero e quel viso deformato da una paresi che gli torceva la bocca, dai lati della quale colava sempre un po’di saliva, e la cui smorfia lasciava intravedere i resti ingialliti della sua antica dentatura. Avrei ancora dovuto vedere i suoi capelli ricci, candidi e radi, che stanchi ricadevano sulla sua fronte segnata. Tutto di lui mi inquietava, odiavo il suo odore di vecchio, detestavo le sue mani macchiate e rugose al punto da non riuscire più a mangiare il pane se solo lo aveva toccato. E infine quel numero marchiato all’interno del suo polso 12956, con un inchiostro blu, ancora nitido tanto da contrastare con la sua pelle quasi trasparente, come un livido che non se ne sarebbe mai andato. Insomma io odiavo quel suo essere ebreo. Mi ricordavo di lui così da sempre, vecchio e impaurito, irrimediabilmente ferito dal destino che gli aveva tolto tutto, ma con un guizzo nello sguardo intriso di antico orgoglio, pervaso dalla strana consapevolezza di appartenere a tradizioni e storie impossibili da soffocare, nonostante tutto. Il suo inspiegabile orgoglio di essere ebreo.

I miei ricordi di bimbo mi riportavano a quando lui mangiava ancora con noi e, durante la cena che precedeva lo Yom Kippur, era a lui che veniva affidato il compito di tagliare il pane e la carne. Lo studio della Torah e la solennità di quei festeggiamenti non facevano per me, così come tutto ciò che in quella cornice veniva perpetrato. Nonostante tutti considerassero la nostra somiglianza, tanto nei lineamenti quanto nel modo di fare, un grande dono ricevuto da Dio, io crescendo maturai l’assoluta convinzione di essere completamente diverso da lui. Mi resi conto di non sentirmi un ebreo. Immancabilmente, alla fine delle feste, delle giornate passate in sinagoga io mi sentivo un estraneo. Questo stato d’animo non era giustificato né compreso dai familiari, parenti e amici, che all’inizio cercarono in tutti i modi di risvegliare in me l’orgoglio delle origini. Volevano indurmi alla rassegnazione di essere nato ebreo, senza riuscirvi. Gli anni passavano e il rancore verso la mia condizione cresceva, allontanandomi da tutti.

Arrivò poi il tempo nel quale mio nonno abbandonò l’abitudine di mangiare insieme a noi e scivolò in un oblio senza fine. Nella sua mente tutti coloro che frequentavano la nostra casa erano delle spie pronte a denunciarlo ai nazisti. Io capii che era giusto così, che si isolasse a mangiare da solo in camera sua, in una volontaria prigionia, uscendo da lì solo di notte, per compiere innumerevoli volte lo stesso percorso nel corridoio, dalla sua camera alla cucina, poi al bagno e indietro alla sua camera. Era giusto che si fosse finalmente tolto dalla mia vista. I suoi passi si trascinavano nel corridoio, di notte, cadenzati come se i piedi fossero stati legati da una pesante catena, e rimbombavano nella mia mente, finendo poi per cullare i miei sogni.

Per molti anni quello fu l’unico contatto che restò tra noi due. Finché arrivò il giorno in cui invitai gli amici a fare i compiti a casa e lui riuscì a metterli in fuga, uscendo dall’esilio della sua stanza con coraggio inaspettato. Gridava che erano tutti spie e che ci avrebbero denunciati. Mi sono vergognato terribilmente nel vedere i miei amici andar via di corsa, spaventati da quel pazzo piombato nella nostra allegria con il suo delirio persecutorio. Avrei voluto piangere e gridargli finalmente di uscire dal mio mondo, ma il patriarca non si poteva toccare.

“Bisogna avere pazienza!” mi ripeteva mia madre “Tuo nonno ha sofferto tanto e lo ha fatto anche per noi. Tutti loro, in quei campi di sterminio, si sono immolati per noi”.

Non rispondevo, non osavo dirle che non provavo alcuna riconoscenza per un sacrificio collettivo che sicuramente non era stato fatto per me. Anzi, con il passare del tempo, sentivo che ogni goccia del mio sangue smentiva la mia appartenenza alla razza ebrea. Il mio Dna parlava di storie completamente diverse da quella che voleva raccontare sempre lui, con i suoi occhi persi nel vuoto, quella smorfia indelebile e quel maledetto numero 12956, che si leggeva chiaramente mentre agitava per aria il braccio, nell’intento di cacciare le spie immaginarie. Che razza di uomo poteva essere mai stato uno che, come lui, aveva permesso che gli portassero via la moglie e il figlio, senza far nulla, un uomo che si era fatto marchiare a fuoco come fosse la pecora di un gregge? Che razza di uomo era mio nonno per non essere riuscito a fermarli? E cosa voleva ora da me con le sue grida biascicate all’indirizzo dei miei amici, della mia vita che nulla avrebbe avuto in comune con la sua? Mi specchiavo e riconoscevo nei miei lineamenti e nei miei muscoli la forza, l’onnipotenza che solo i giovani riescono a provare. 

Io sì che avrei saputo come fare. Mi ostinavo a non credere a quel che veniva raccontato del passato, detto sul presente e immaginato nel futuro, descritto con la rassegnazione di chi sa che nel proprio destino ci saranno inevitabilmente nuove persecuzioni, altri stermini. Niente di tutto ciò sarebbe mai accaduto a me. Mi rifiutai di frequentare ragazze ebree, come cercavano di indurmi a fare i miei, e provai a inserirmi in ambienti diversi. Non avrei mai formato una famiglia che potesse essere oggetto di persecuzione, non avrei mai creato i presupposti per essere marchiato a fuoco. Tagliai a zero i miei capelli ricci, disertai la sinagoga, evitai di indossare la Kippà. Cercai perfino di nascondere il mio naso camuso spingendo sin sulla punta le pesanti lenti Ray-Ban, che lo mascheravano con la loro ombra. Finché mi sembrò di non avere più alcuna caratteristica riconducibile agli ebrei. La mia vita l’avevo già pianificata contro ogni aspettativa dei miei parenti. Mi sarei trasferito negli Stati Uniti, in qualsiasi luogo dove un ebreo è solamente un essere umano, mi sarei laureato in legge e avrei sposato una ragazza americana, affogando nell’incontro con altri Dna le mie origini e il destino nefasto della mia gente. E mi piaceva fantasticare sul mio futuro affacciato alle finestre della mia stanza, in questo grande appartamento non lontano dal ghetto, la cui veduta spazia sul lento corso del Tevere e da cui è sempre visibile il tetto della sinagoga, illuminato dal sole o bagnato dalla pioggia, sempre muta testimonianza a ricordarmi che io sono un ebreo

Sono passati gli anni e ho messo in atto tutti i miei progetti. Ho preso contatti con l’università di Boston e a settembre inizierò il corso di studi che desideravo seguire. In tasca ho il biglietto del volo Pan Am, che mi porterà via da qui dopodomani. La novità è che l’altro ieri mio nonno è morto, vecchissimo, nel sonno. Ce ne siamo accorti perché nessuno di noi aveva udito, come ogni notte, i suoi passi terrorizzati andare su e giù per il corridoio. Non ho provato nulla se non la beffa che ci avesse lasciati proprio quando anch’io avevo finalmente deciso di andarmene. Mio padre ha voluto che venisse deposto nella bara in modo che fosse visibile, sul suo polso ormai scheletrico, il numero 12956, quasi un ammonimento gridato alle tenebre dell’aldilà. Non ho voluto neanche salutarlo per l’ultima volta mio nonno. Ho solo sostato nel corridoio ormai solcato dai suoi passi, in attesa che chiudessero la bara e lo portassero via. L’eco dei singhiozzi degli altri si è perso nella mia mente cinica. Al ritorno dal funerale, forse proprio per il distacco che ho sempre dimostrato nei suoi confronti, mi è stato affidato il compito di mettere ordine tra le cose che ha lasciato, per impacchettare tutto ciò che potrà essere gettato via.

Nella sua camera si percepisce ancora il suo odore, che trovo invariabilmente insopportabile. Sul letto c’è solo il materasso, le lenzuola sono state tolte. Questo silenzio non mi fa alcun effetto. Voglio fare in fretta, farò il pacco delle cose da eliminare e poi andrò a chiudere le mie valige. Stamattina, durante il funerale, è piovuto forte. Un temporale estivo che ha lasciato il posto all’afa. Dalle finestre si vede, ancora meglio che da quelle della mia stanza, il tetto della sinagoga che riflette da un lato il sole e dall’altro le poche nuvole grigie che si allontanano dalla città. Quello strano tetto mi sembra un enigmatico specchio che riflette solo ciò che si vuol vedere. Lascio la finestra aperta e inizio a rovistare nell’armadio, notando che la roba da selezionare è veramente poca. Qualche vestito, alcune maglie di lana, varie Kippà, un candelabro poggiato alla parete interna dell’armadio. Secondo i racconti di mio padre, prima della guerra la loro era stata una famiglia ricca e la professione di orafo, che mio nonno aveva ereditato dal padre, rendeva bene. Quando i nazisti chiesero l’oro agli ebrei romani in cambio della loro libertà, mio nonno convinse un gran numero di persone a donarlo e lui stesso si spogliò della quasi totalità dei suoi averi. Era convinto che sarebbe stato in grado di ricominciare quando l’assurdità della guerra fosse terminata. L’importante era che lasciassero in pace lui e la sua famiglia, cioè sua moglie Ester e suo figlio Davide di sette anni, mio padre. Ma poi, come sappiamo tutti, non fu così e in una notte d’autunno, nell’ottobre del ’43, caddero nella retata dei nazisti come gran parte degli ebrei romani, per essere poi deportati ad Auschwitz, da cui mia nonna Ester non tornò più. Per lo strano concatenarsi di eventi che a volte separa la vita dalla morte, mio padre fu affidato a una loro vicina che, eludendo la sorveglianza dei nazisti, lo portò in salvo insieme ad altri due bambini, nel vicino convento di San Bartolomeo. Solo dopo molto tempo dalla fine della guerra mio nonno riuscì a riabbracciare suo figlio e, da quel momento, non lo lasciò mai più, neanche dopo il suo matrimonio con mia madre. Neppure di fronte a questi ricordi riesco a impietosirmi. Io, ne sono certo, avrei fatto ben altro, avrei usato diversamente i miei soldi, magari pagando la fuga molto prima, né sarei caduto nel tranello delle iene naziste. Mi riparo gli occhi dalla luce infuocata del tramonto che, riflessa dal tetto della sinagoga, si riversa in questa stanza.

Accidenti è quasi sera, debbo sbrigarmi! Nel fondo dell’armadio vedo piegati un paio di pantaloni, al cui tatto si riconosce la fatturazione di ottima lana, anche se sono orribilmente logori. Li spiego per vederli meglio e dall’interno cade un foglio di carta. È una pagina di quaderno a righe, ingiallito, anche se restano intatte le righe azzurre orizzontali e quelle rosse del margine verticale. Sembra un foglio da prima elementare, ma la calligrafia è di una persona adulta. Mi siedo sul bordo del letto e cerco di decifrare ciò che vi è scritto, poiché in alcuni punti l’inchiostro sembra essersi bagnato:

 “Caro amore, ti scrivo ciò che non riesco a dirti guardandoti negli occhi. Sono incinta di otto settimane. So che all’inizio avrai paura per questa notizia, l’ho avuta anch’io. Ma dopo la prima impressione, cerca di esserne felice come lo sono io. Vedrai, la guerra passerà, tutto ciò finirà e noi avremo la gioia di una famiglia completa. Sono sicura che sarà una bambina e la sua vita già cresce con forza dentro di me, lasciandomi stupita. Stavolta sarò più brava, non piangerò come mi succedeva quando aspettavo Davide, Sai, quella tristezza viene solo alla prima gravidanza. Caro amore, vedrai che noi ce la faremo! Ti amo tanto Ester”.

Sono seduto sul letto eppure mi sembra di scivolare giù da una montagna. Guardo la data, ma è illeggibile. Si vede bene solo l’anno, il 1943. All’improvviso sento vacillare tutto il mio mondo e le mie difese. Un martello inizia a battere nella mia mente e a ogni colpo mi sembra di vedere quel numero 12956, 12956 conficcarsi nei miei pensieri, squarciando i miei giudizi, le mie convinzioni. Le ultime luci del tramonto carezzano il mio volto e vedo delle gocce umide cadere sul foglio. Non è possibile, sono le mie lacrime. Insomma, cosa mi sta accadendo? Separo il foglio di carta dalle cose che dovranno essere gettate e preso da un’incomprensibile smania frugo ancora in quel lacero pantalone. Dalla tasca esce un pezzo di carta, sembra carta da pacchi, stropicciata e sbiadita. Riconosco la stessa calligrafia:

Caro amore, spero che ti verrà recapitato questo mio scritto da Ines, che può raggiungere la tua baracca. Io vado avanti e cerco solamente di pensare che Davide è salvo e lontano da qui. Non ti preoccupare per me, abbi solamente cura di te. Stanotte ho sentito muovere la bambina per la prima volta! Ti amo tanto Ester”.

Sento di avere tra le dita un inestimabile tesoro, ho addirittura paura ad adagiarlo sul materasso. Lo infilo delicatamente nella tasca dei pantaloni, da cui scivola in terra il mio biglietto aereo. È l’ultimo messaggio intriso d’amore scritto da una piccola donna indifesa, che avrebbe fatto la “doccia mortale” di lì a pochi giorni. Mi sembra di vederla muovere i suoi passi leggeri, col ventre appena rigonfio e i pensieri concentrati sui movimenti della creatura che porta in grembo, mentre ignara si avvia verso la camera a gas. Mi sembra di sentirli nel corridoio di casa quei passi leggeri, confondersi con quelli terrorizzati dell’uomo che lei amava così tanto. Mi sdraio, immobile, fissando il soffitto. Ormai è sera e su di esso le cime degli alberi, mosse dalla brezza notturna, compongono delle strane ombre, che mi raccontano un’altra storia e mi mostrano ciò che non ho mai voluto vedere. La gioia e l’amore, la follia e la crudeltà, l’orgoglio, il coraggio e la disperazione. Luci e ombre, vita e morte. Di fuori è notte, me lo dice il bacio della luna riflessa dal tetto della sinagoga. L’odore di mio nonno è svanito nella pura aria notturna ma vorrei tanto, per la prima volta, risentirlo. Scendono ancora silenziose le mie lacrime e io mi chiedo perché non ho mai voluto leggere ciò che mostravano i suoi occhi spenti. Mi sembra che siano passati degli anni invece che poche ore in questa stanza. Sento di essere diverso, finalmente libero dal peso che non mi faceva entrare aria nei polmoni. Respiro profondamente la sensazione che mi pervade e mi scalda. Ora ogni goccia del mio sangue, ogni allele del mio Dna gridano una sola frase, che sento salire con violenza alle labbra. Mi alzo dal letto e vado verso la finestra, per gridare forte le parole che prorompono come la lava eruttata da un vulcano. Lo urlo alla luna riflessa dalle acque del Tevere, alla silenziosa sinagoga, agli uccelli notturni che solo ora non temo più. È con rabbia impietosa, ma anche con struggente e antico amore che grido:

“Io resterò!”

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Interviste, INTERVISTE - Rassegna stampa, LE NEWS

L’umiltà e l’onnipotenza, l’impossible immortalità, la magnifica intervista di Giovanni Zucconi per Baraondanews.it


Ci sono interviste e interviste. Il dialogo con il giornalista Giovanni Zucconi resterà per sempre un momento memorabile. Il luogo scelto per l’incontro è stato un locale pubblico, per niente silenzioso. Eppure le sue domande mirate, profonde e sottili, hanno calamitato la mia attenzione dal primo momento. Seguendo il sapiente e originale percorso da lui preparato mi sono trovata a sviscerare argomenti e concetti inusuali, a guardare davvero in me stessa, senza filtri. Un ringraziamento particolare alla rivista Baraondanews, che ha dedicato uno spazio tanto significativo all’intervista, e al bravo giornalista, che con grande tatto e delicatezza ha saputo raccogliere i miei sentimenti.

https://baraondanews.it/daniela-alibrandi-le-mie-storie-non-sono-solo-noir-sono-romanzi-tridimensionali/?fbclid=IwAR1K1ct0qaNBJ4zwzjCHLziyfcSrd8gKp9wI8ADojdwvXwG7ODUXEtcjxg8

Dall’intervista:

Scrivere per lei non è anche un atto di superbia? Lei crea mondi che non esistono. Personaggi che non esistono. Li fa nascere, crescere e morire a suo piacimento. Non si sente un Dio onnipotente quando scrive?

“Nel mio caso è una sensazione di onnipotenza umile. Perché io so che creo un mondo, che nei fatti è un universo microscopico. Ma è vero che tu crei. Crei una storia che poi farà sognare. Tu sai che tutto quello che succederà sarai tu a volerlo. Anche a volerlo fare morire. Però lo fai sapendo quanto sei piccolo, e che vuoi donare emozioni. Dare delle sensazioni. Quello che scrivi lo doni al mondo. È più un atto d’amore che di onnipotenza.“

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Eventi, LE NEWS

L’ispettore Supplì e la premiazione dei piccoli, grandi illustratori


Una palestra invasa da bambini entusiasti ed emozionati, gli sguardi teneri con cui solo i piccoli sanno esprimere sensazioni e sentimenti. Applausi scroscianti di innumerevoli dolcissime mani. I miei lettori, quelli che non mi dimenticheranno mai, gli unici che mi hanno fatto commuovere fino alle lacrime. E la grande soddisfazione di aver visto gli sguardi colmi d’orgoglio di chi veniva premiato, anche se, come è stato più volte detto all’assemblea, i lavori erano tutti bellissimi e di notevole valore artistico. Le classi partecipanti al concorso “Diventa Illustratore” sono state 12, in pratica tutta la scuola primaria dell’I.C. Salvo D’Acquisto di Cerveteri. I circa 260 elaborati sono stati esaminati dalla commissione esterna, composta da nomi eccellenti, quali la nota Street Artist italiana Tiziana Rinaldi Giacometti e l’illustre pittore Giuliano Gentile, a cui mi sono affiancata come autrice dell’opera.

Il primo premio sarà la pubblicazione* di un’edizione speciale del libro, le cui illustrazioni saranno i ventisei elaborati che si sono distinti per aver meglio rappresentato i contenuti delle storie e la cui copertina sarà sostituita dal disegno sorteggiato tra i quattro scelti dalla commissione. Ma sono stati assegnati premi di merito per la curiosità scatenata, l’utilizzo del colore, il divertimento e la laboriosità, il grande impegno dimostrato anche dagli alunni più piccoli. Inoltre, per premiare i talenti, sono state assegnate tre menzioni speciali per la fumettistica, l’arte pittorica e il disegno.

Un’esperienza che ogni autore dovrebbe fare, quella di scrivere per i bambini. Chi mi segue sa che sono una giallista, e che solo dopo aver avuto l’intimazione di un nipotino a scrivere qualcosa anche per i piccoli lettori ho dato vita all’Ispettore Supplì, le mozzarelle scomparse e altre fantastiche storie. E l’ho scritto in un periodo orrendo per tutta l’umanità, quello della pandemia, lontana anche dal nipotino.

Sarà forse proprio per quel motivo che ho desiderato “tuffarmi” nel mondo dei bambini e godere della loro fantasia e infinita sensibilità, scrivendo il libro. Ne sono venuti fuori quattro racconti coinvolgenti ed entusiasmanti, che focalizzano l’attenzione su particolari e delicati argomenti come il rispetto per il cibo e l’ambiente, la cura per i giochi e l’amore per gli animali, esaltando anche valori quali l’amicizia, il coraggio e l’unione.

L’ho voluto pubblicare tramite la piattaforma di Youcanprint, senza passare la filiera, anche economica, dell’editoria tradizionale e, perchè non risultasse troppo costoso, ho deciso di non inserire illustrazioni. Da qui è nata una storia incredibile, che mi ha coinvolta, profondamente emozionata ed infine stimolata.

La lettura dei quattro racconti, che compongono il consistente libro di centoventi pagine privo di illustrazioni, ha acceso la fantasia dei piccoli lettori che si sono trovati a indagare insieme all’Ispettore Supplì sulla misteriosa sparizione di alcune mozzarelle, a stringere una profonda amicizia con un cucciolo di Velociraptor, a vincere la sfida contro dei crudeli Transformer o addirittura ad andare sulla luna in compagnia di un bizzarro robot. La Dirigente Scolastica Velia Ceccarelli e la coordinatrice Monia Monarca hanno quindi ideato il concorso “Diventa Illustratore” all’interno della scuola, destinato ai bimbi delle elementari, che hanno aderito in massa, creando le illustrazioni non presenti nel libro.

LA STAMPA

https://baraondanews.it/cerveteri-diventa-illustratore-la-premiazione-allic-dacquisto/

Voglio chiudere questo articolo con alcune frasi che i bambini mi hanno spontaneamente “donato”:

“E’ il più bel libro che ho letto nella mia infanzia,” parole di un bimbo di terza elementare.

“Si vede che sei contenta, perchè hai gli occhi lucidi,” una bimba della quarta elementare

Mi è stato espresso il desiderio di continuare a leggere le avventure di questo strano personaggio.

Ho quindi il piacere di annunciare che il personaggio letterario de L’Ispettore Supplì è una realtà e riuscirà a risolvere molti delicatissimi casi.

*La pubblicazione dell’edizione speciale del libro, senza compensi per royalty, è un omaggio che ho desiderato fortemente offrire alla scuola, come riconoscimento della bravura con cui i piccoli lettori hanno saputo tradurre in immagini le storie e quale elogio all’eccezionale impegno dimostrato.

Un ringraziamento di cuore va alla Dirigente Scolastica Velia Ceccarelli, alla Coordinatrice Monia Monarca e alle docenti della Scuola Primaria per la sensibilità e la bravura con cui hanno reso possibile la realizzazione del progetto.

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LA PAROLA AI LETTORI, LE NEWS

L’aveva detto e l’ha fatto!


“Bravissima Daniela Alibrandi, lei ha conquistato un lettore che non l’abbandonerà più!”, questo mi diceva nella prima recensione Vincenzo Pignanelli, dopo aver letto “Nessun segno sulla neve” (Edizioni Universo). A volte capita che poi, pur continuando a seguirti, alcuni lettori non sentano più lo stimolo a recensire i tuoi libri. Invece in breve lui ha seguito con uno splendido giudizio su “Viaggio a Vienna” (Morellini Editore), https://danielaalibrandi.com/category/la-parola-ai-lettori/ per approdare oggi alla seguente recensione, breve, eccezionale e toccante a “Una morte sola non basta” (Del Vecchio Editore)

Che dire? Ho sempre pensato che il premio letterario più importante sia quello che viene dai lettori. Grazie Vincenzo delle emozioni che hai saputo trasmettermi!”

https://danielaalibrandi.com/2020/01/05/634-dove-acquistare-una-morte-sola-non-basta/

Ricordo che “Una morte sola non basta”è stata protagonista di un importante e originale evento alla Fiera del Libro Piùlibripiùliberi presso la Nuvola di Roma lo scorso 7 dicembre 2023. Il romanzo è stato presentato presso la biblioteca della Camera dei deputati ed è in catalogo, in edizione italiana, nelle prestigiose biblioteche di Harvard e Yale.

https://danielaalibrandi.com/2023/12/08/alla-nuvola-la-magia-di-una-performance-artistica/

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Eventi, LE NEWS

Questo inizio di anno lo dedico ai bambini…


Gli eventi più “dolci”e amabili dell’anno che si è concluso sono stati quelli vissuti con i bambini. Negli ultimi giorni di scuola, prima delle vacanze natalizie, grazie alla Dirigente Scolastica Angela Esposito e alle docenti Marica Tomeo e Sabrina Carmellini dell’I.C. Marina di Cerveteri, ho avuto un significativo e indimenticabile incontro con i bambini che stanno per leggere il mio libro “L’ispettore Supplì, le mozzarelle scomparse e altre fantastiche storie” e che hanno espresso il desiderio di conoscere la scrittrice. Un emozionante confronto con la sensibilità e l’intelligenza di quelli che erroneamente consideriamo piccoli lettori. Le domande che mi hanno posto sono degne delle più accurate interviste. Hanno voluto approfondire non solo i temi del libro in anteprima ma anche, e soprattutto, quello che è il mondo di una scrittrice, le sue sensazioni, che cos’è l’ispirazione e come la si riconosce, se c’è un luogo e un’ora precisa dove e quando scrivere, e addirittura se l’aver parlato dell’ispettore Supplì è stato un modo di evidenziare un’eccellenza della cucina italiana. Una raffica di stimolanti domande che mi hanno permesso di descrivere l’importanza non solo della lettura, ma anche dell’ascolto delle proprie emozioni, e il significato della ricerca descrittiva grazie alla quale un “fatto” non è mai solamente un fatto. Mi hanno scrutato con grandi occhi attenti e critici. Il momento più bello è stato quando, con grande delicatezza e direi anche con circospezione, si sono avvicinati per poi abbracciarmi e chiedermi la dedica sul libro o sul proprio diario. Non mi vergogno nel dire che mi hanno commosso. La loro richiesta di tornare a trovarli e, soprattutto, di scrivere ancora per loro è un appuntamento prezioso a cui non mancherò.

E non è finita lì. Infatti la lettura del mio libro “L’ispettore Supplì, le mozzarelle scomparse e altre fantastiche storie“, da me pubblicato senza illustrazioni proprio perchè avesse un costo contenuto, ha acceso la fantasia dei piccoli lettori dell’I.C. Salvo d’Acquisto di Cerveteri. E grazie alla Dirigente Scolastica Velia Ceccarelli e alla coordinatrice Monia Monarca è nata l’dea di un concorso nel quale sono in gara i disegni degli alunni dalla prima alla quinta elementare. Una commissione, composta da nomi illustri quali la Street Artist italiana Tiziana Rinaldi Giacometti e il pittore Giuliano Gentile, ha esaminato con la mia collaborazione i numerosi e bellissimi elaborati. Durante la premiazione che avrà luogo il 17 gennaio nello stesso istituto, verranno scelte le opere che faranno parte dell’edizione speciale del libro con le illustrazioni degli alunni e la nuova copertina da loro creata.

E nella giornata di oggi dedico con il cuore la favola “La vera storia della Befana” a tutti i bambini. La sua attualità, purtroppo, è sempre più calzante. Leggendola si comprende il perché.

https://danielaalibrandi.com/2018/01/05/la-vera-storia-della-befana-una-favola-di-ieri-per-i-bambini-di-oggi/

https://danielaalibrandi.com/2022/12/12/ma-il-natale-e-per-i-bambini/

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