Eventi

EVENTI passati


PROSSIMO EVENTO:

Data: 10 giugno 2017

Ora: 18,30

Luogo:Roma, Via Giovanni da Procida 30-32. Presso la sede della casa editrice Giulio Perrone

Informazioni:Prima presentazione al pubblico del romanzo “Il vaso di Bemberly

EVENTI PASSATI

7.12.2010: Esce “NESSUN SEGNO SULLA NEVE”, edito da Laboratorio Gutenberg – Prima presentazione alla libreria Odradek, Via dei Banchi Vecchi a Roma PRIMA PRESENTAZIONE DUE

15.01.2011:​Presentazione del libro al Castello di Santa Severa

31.01.2011: Presentazione del libro presso il Bistro RendezVous di Cerveteri

12.03.2011:Presentazione del libro presso la Biblioteca Comunale di Ladispoli

2.03.2011:Presentazione del libro presso l’Aula Consiliare di Bracciano

30.06.2011: 18.00 h  Presentazione “Nessun segno sulla neve”  Biblioteca Comunale di Santa Marinella  Santa Marinella

22.08.2011:21.15 h  Presentazione “Nessun segno sulla neve”  La Grottaccia  Ladispoli

26.08.2011:“Aperitivo Letterario” di Etruriain.tv  Il Tritone  –

06.09.2011:Trasmissione Radiofonica “Tutto In Un’Ora” di Radiolyracaere  Tutto In Un’Ora

03.12.2011: Premio letterario La Città e Il Mare – “L’Ultima Casa”  Ladispoli

02.03.2012: 18.00 h  Presentazione “Nessun segno sulla neve” con il patrocinio del XVII municipio del comune di Roma  Spazio Bell’Italia 88  Roma

12.06.2012: Esce il mio secondo libro “IL BIMBO DI RACHELE”, edito da Apollo Edizioni

08.07.2012: 19.00 h  “Letture d’estate lungo il fiume e tra gli alberi” evento dell’Estate Romana 2012. Nessun Segno sulla Neve, scelto dal Comune di Roma per la sua valenza storica e sociale, viene presentato presso i giardini di Castel sant’Angelo in Roma.

24.07.2012: 11.00 h – 12.00 h Trasmissione radiofonica “Tutto in un’Ora”. Presento il nuovo libro “Il Bimbo di Rachele”

27.07.2012: 11.30 h – 12.30 h  Trasmissione televisiva “Aperitivo Letterario” per presentare il nuovo libro “Il Bimbo di Rasachele”

 28.10.2012/1.11.2012 “Il Bimbo di Rachele” viene presentato alla Fiera del Libro Calabrese, a Lamezia Terme

31.08.2012: La pagina Facebook “In treno ” organizza una conversaziione pubblica con i lettori per parlare degli scottanti argomenti trattati dal libro “Il Bimbo di Rachele”

Novembre 2012: Il mio terzo libro “UN’OMBRA SUL FIUME MERRIMACK” rientra tra i vincitori del premio letterario internazionale Nanowrimo 2012.

Dicembre 2012: ”  Un’Ombra sul fiume Merrimack” viene pubblicato in versione e-book su Amazon.

Marzo 2013:  “Un’Ombra sul Fiume Merrimack” viene pubblicato in versione cartacea da Youcanprint per accontentare i lettori che ne fanno richiesta in formato tradizionale.

Luglio 2013: Sono ospite della trasmissione televisiva Beach Radio di  Centromareradio per presentare il libro “Un’Ombra sul Fiume merrimack”. Mi intervistano Emanuele Rossi del Messaggero e Fabio Bellucci di Etruriain.tv

5 Luglio 2013: Il mio indimenticabile “Nessun Segno sulla Neve” vince il premio letterario nazionale Circe e vengo premiata presso la sede romana di Assoartisti, nella prestigiosa sala Nori, auditorium della Confesercenti.

Agosto 2013: Sono invitata quale ospite d’onore alla cerimonia di premiazione di “Premio Impegno”

Agosto 2013: Viene pubblicata l’edizione inglese di “Un’Ombra sul Fiume merrimack” con il titolo di “A Shadow on merrimack River” e diffusa negli Stati Uniti, in Canada, in Giappone e in Europa.

Agosto 2013: Canale 10 mi dedica una ripresa televisiva, che viene poi trasmessa durante il telegiornale. La ripresa e l’intervista sono di Fabio Nori.

Ottobre 2013: Sono invitata quale ospite d’onore al Premio di cultura “E’ Tempo di Cultura”. A intervistarmi è Nadia Angelini, la trasmissione è ripresa da Fabio Nori di canale 10.

8 Dicembre 2013: Il mio libro “Nessun segno sulla Neve” viene presentato alla Fiera del Libro di Roma Piùlibripiùliberi, nell’ambito del premio Circe vinto a luglio.

19 Dicembre 2013: doppio evento: sarò ospite della trasmissione radiofonica “Voli d’Autore” per parlare del mio ultimo thriller “Un’Ombra sul Fiume Merrimack”, il primo dei miei lavori a essere tradotto in inglese e diffuso negli Stati Uniti, in Canada, in Giappone e in Europa.  In contemporanea parte il tour promozionale negli Stati Uniti dell’edizione inglese “A Shadow on Merrimack River” a cura della Goddess&Fish Promotions. In ascolto anche lettori dalla Florida, South Carolina, Massachussets, New Hampshire, da New Orleans e da altri siti.

11 aprile 2014: Cerimonia di premiazione del concorso letterario nazionale Memorial Miriam Sermoneta. Il mio racconto “Il Bacio dei Vecchi” è tra i vincitori e l’evento ha luogo nella Sala del Carroccio, al Campidoglio di Roma.

2 maggio 2014: Sono a Londra presso la Italian & European Library per un incontro con i lettori inglesi. La Abebooks distribuisce in Inghilterra i miei libri.

27 settembre 2014: Cerimonia di premiazione a Vicenza del concorso letterario nazionale Mani in Volo. Il mio racconto “Quei Quattro Minuti” è tra i vincitori.

28 novembre 2014: Il mio libro inedito “LA FONTANA DELLE RANE” vince il Premio Perseide 2014 e si aggiudica un contratto editoriale con la prestigiosa casa editrice Sovera, gruppo Armando Editore. Il libro verrà pubblicato nell’aprile 2015.

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DA IL CURIOSO MAGAZINE

IL CURIOSO COPERTINA                                                               

Daniela Alibrandi e la sua voglia di scrivere                                                                                                               (di Azzurra Patriarca, numero di Febbraio 2015 del Curioso Magazine)

Nata a Roma, cresciuta negli Stati Uniti. Tornata nella città eterna, ha lavorato nel settore degli Scambi Culturali con l’Estero come traduttrice e interprete. Sposata e con due figli, la sua voglia di scrivere ha dovuto sempre fare i conti con i molteplici impegni di una madre di famiglia che lavora e costruisce con grande fatica la sua carriera. Poi l’imprevedibile: “un infortunio grave – ci racconta – mi ha tenuta ferma a letto per quasi due mesi. Le gambe bloccate, il braccio destro ingessato e solamente la mano sinistra, quella del cuore, utilizzabile. E proprio con la mano del cuore ho scritto il mio primo libro ‘Nessun Segno sulla Neve’, mentre bloccata a letto e sola per ore, guardando dalla finestra della mia stanza, potevo vedere solamente il golfo che da Marina di Cerveteri arriva fino al castello di Santa Severa. Ho provato il miracolo dell’ispirazione, quella carezza nell’anima che ti chiama, qualsiasi cosa tu sia o stia facendo, a scrivere per donare le tue emozioni”. Nessun segno sulla Neve è un thriller psicologico di grande impatto la cui trama affonda le sue radici nel ’68 romano e nella protesta studentesca; ha riscontrato un grande successo vincendo il Premio Letterario Nazionale Circe 2013 ed è stato accolto con grande calore presso la Fiera del libro di Roma ‘Più libri più liberi’.
Ma a questo primo lavoro ne sono seguiti molti altri in pochissimo tempo perché, come ci svela Daniela ……….. Continua a Leggere           

http://magazine.ilcuriosonews.it/2015/02/daniela-alibrandi-e-la-sua-voglia-di.html

IL CURIOSO RIVISTA

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CONSIDERAZIONI SU UN PAESE DIVERSO


Ho scritto questo articolo sull’aereo mentre tornavo da Londra e vorrei veramente aprire una bella discussione con voi!

LONDRA

Sono sull’aereo durante il viaggio di ritorno e chiedo a me stessa: Qual è il loro segreto? Un volo serale, che non avrebbe dovuto suscitare grandi emozioni, eppure mi sto immergendo in qualcosa che non avevo calcolato. Non è ancora buio e l’aereo non è grande come quello dell’andata. Sono sicura che si ballerà parecchio incontrando qualche perturbazione. Ma il mio pensiero principale non è quello. Dal finestrino vedo scorrere le ultime propaggini di terra. E’ qui che finisce l’Inghilterra, con il merletto bianco delle scogliere di Dover, che appaiono chiarissime in questa luce crepuscolare. Riesco addirittura a fotografarle, passando sopra lo stretto della Manica, che mi porta veloce verso le coste francesi. Cos’ è dunque che mi lascia questo strano senso di nostalgia già da adesso? Il vitto era pessimo, dovunque odori di spezie e grasso, cipolle e burro, niente che si avvicinasse alla decantata dieta mediterranea della quale sono una fiera sostenitrice. Il tempo, soprattutto all’inizio, non è stato dei migliori e mi ha rovesciato addosso parecchi litri di pioggia, per poi lasciare il posto, nei giorni seguenti, a un sole pallido e freddo, che nelle ore centrali della giornata diveniva sorprendentemente caldo, facendomi anche soffrire durante le file che a Londra ci si trova spesso a dover rispettare. Ho soggiornato in un quartiere buono della città, Kensington, ma il bagno dell’hotel era piccolo e privo dell’irrinunciabile accessorio che l’autarchia mussoliniana voleva fosse chiamato “bidetto”. I rubinetti dell’acqua calda e fredda nel lavandino erano separati, non permettendo così di regolare la temperatura miscelando i due getti. E ho potuto constatare la stessa cosa, con mia grande sorpresa, anche in molti bagni pubblici. Eppure in quel posto, in quella gente ho sentito da subito che c’era un segreto da scoprire.
Non ero abituata all’ordine e alla pulizia che regna nelle strade del centro londinese, dove non sono riuscita a trovare un foglio di carta gettato sul marciapiede o un escremento animale, pur essendomi impegnata molto per fotografarne almeno uno. Era da tempo immemorabile che non vedevo regolarmente alzarsi qualcuno sull’autobus o sulla metropolitana per lasciare il posto ai più anziani o alle categorie svantaggiate, che erano indicate con chiari disegni all’interno dei vagoni (donne incinte, donne con bambino etc…). Era tanto che non sentivo, se appena sfiorata da qualcuno involontariamente, un sincero Sorry!
Abituata all’andamento della mandria nella metropolitana romana, mi sono stupita sentendomi rimproverata perché non tenevo la destra sulla scala mobile. Guardando meglio infatti i cartelli avvertivano di lascare la parte sinistra della scala per chi aveva più fretta di me. Toh, in fondo non era difficile pensarci! E che dire quando davanti all’ennesima fila che non seguivo e dalla quale mi ero discostata, mi sono sentita gentilmente chiedere se ne facessi parte? Solo dopo il mio “no”, il signore ha occupato diligentemente quello che sarebbe potuto essere il mio posto.
Sei linee metropolitane, tutte pulite e raramente affollate, controllate da personale preposto anche a fornire informazioni ai turisti, la possibilità di raggiungere quartieri lontani dal centro tutto sommato in pochi minuti. L’aeroporto principale servito da metro e treni privati. I caratteristici autobus rossi e a due piani, che debbono portare 65 persone sedute e 18 in piedi per ogni piano. Quando viene raggiunto il limite dei posti disponibili l’auto non si ferma a meno che qualcuno degli occupanti debba scendere. Allora sale l’esatto numero di persone che ha lasciato il mezzo pubblico. E’ una regola a cui nessuno si oppone, per il bene comune.
Nei miei occhi c’è ancora il sorriso della gente a cui ho chiesto delle informazioni per raggiungere i luoghi di interesse turistico. Tutti, indistintamente, mi hanno risposto con calore e gentilezza. Il rigore del comportamento, gli uomini in alta uniforme posti nei giardini della Torre che custodisce i gioielli reali solo per indicare dove fossero i bagni, la solennità della messa ascoltata in Westminster Abbey, il rito del cambio della guardia della Regina, questo splendido insieme mi ha fatto capire che l’Inghilterra è una nazione europea fiera della sua sovranità e rispettosa delle proprie tradizioni e dei suoi cittadini.
Negozi aperti ovunque, floridi e pieni di clienti. Niente che mi ricordasse il dramma dei nostri esercizi commerciali chiusi per fallimento o svenduti a catene straniere, sia al centro che alla periferia di Roma e delle nostre grandi città. Eppure, cavolo, mi trovavo sempre in Europa! Non mi illudevo di essere nel Paese delle Meraviglie. Mendicanti ne ho visti per la strada, ma la sensazione era che anche loro occupassero una collocazione precisa, lo scenario confuso che si vede nelle stazioni dei nostri treni metropolitani mi è sembrato lontano anni luce. E anche i numerosissimi immigrati sembravano essere integrati in quella società come un tassello utile e irrinunciabile. Una collettività multiculturale dove nessuno pareva aver calpestato i diritti degli altri, nella quale chi è stato accolto ha saputo rispettare le regole di quel Paese. E mi è capitato anche di conoscere l’altro lato della medaglia, come quando, prendendo il treno per l’aeroporto di Heathrow, mi sono trovata a scendere le scale mobili insieme ai tifosi inglesi che andavano ad assistere a una partita del loro campionato. Con la loro veemenza hanno spinto la polizia a chiudere addirittura la fermata della metro.
Nonostante ciò Londra è una città che vive e l’Inghilterra sopravvivrà. So invece di tornare in un’Italia che non ha più forze, come una donna che da anni soffre di emorragie continue. So di rientrare in una nazione che sta perdendo la sua potenza maggiore, i giovani, i nostri vivaci, entusiasti e intelligenti giovani, che preferiscono l’esilio volontario al niente che li circonda.
Chiudo gli occhi e mi faccio cullare dal rombo dei motori dell’aereo. Stiamo passando su Parigi. Sembra impossibile, ma nel buio della sera riesco a fotografare la Torre Eiffel, completamente illuminata, come tutta la città. Qual è il loro segreto? Non so rispondere ancora. Non credo di amare il mio Paese meno degli altri, ma sento che l’Italia ha un destino diverso. Le nostre ricchezze, l’archeologia, il turismo, la natura che da sole potrebbero fare riaccendere cento Torri Eiffel, vengono invece trascurate, mortificate e offese. L’esperienza e la forza lavoro degli adulti calpestate insieme alla promessa delle nuove generazioni, la nostra sovranità svenduta, e al minore offerente. Come può non sanguinare il mio cuore…mi accoglie il buio di Roma, e in me c’è un sentimento molto simile al pianto, mentre scendo dall’aereo e penso che noi non abbiamo più segreti, ma solo storie vergognose da scoprire.

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I Miei Racconti

La Rimpatriata


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Appuntamento a Piazza Venezia alle otto in punto. Venticinque anni dall’ultima campanella udita a scuola, un quarto di secolo dal nostro scendere veloci per le scale del liceo, guardandoci negli occhi, meravigliati che fosse giunto finalmente l’ultimo giorno di lezione. Qualcuno dava sulla testa del compagno un quaderno accartocciato, mimando i colpi ritmici di un batterista, altri si tenevano forte per mano, promettendosi di non perdere mai i contatti. E fuori ci attendeva l’estate, con la libertà dai libri e dalle interrogazioni, c’erano i Beatles e i Rolling Stones.
Ora, mentre mi avviavo verso l’appuntamento più emozionante della mia vita, i ricordi prorompevano dalla nebbia nella quale sembravano essersi disciolti. In quella Piazza Venezia bagnata, dalla storia tanto sfortunata, mi attendeva una stravagante comitiva di quarantaquattrenni. Loro erano lì, sembrava che fossero divenuti adulti senza essersi mai allontanati da quei sampietrini che ora, lucidi di pioggia, riflettevano la calda luminosità dei lampioni romani…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

https://www.amazon.it/DONI-DELLA-MENTE-Racconti-Pensieri-ebook/dp/B019CRTCRI/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1491772373&sr=1-1&keywords=i+doni+della+mente

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I Miei Racconti

Il Vento Dolce di Aprile


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Tempo fa, un invito a cena a casa di un’amica, ma con un pizzico di brio. C’era un tema attorno al quale si sarebbero sviluppate le conversazioni della serata:”La primavera, il risveglio”. Le invitate, tutte rigorosamente donne, che si conoscevano appena, avrebbero potuto parlare ognuna del proprio risveglio e scrivere anche qualcosa al riguardo.
Non potevo immaginare l’atmosfera nella quale mi sarei immersa in quelle ore, che sono trascorse troppo veloci. Un ambiente elegante, nel quale ogni particolare parlava del gusto raffinato e sapiente della persona che aveva organizzato l’originale convegno. La luce soffusa e nel sottofondo una musica soft, avvolgente ed emozionante colonna sonora di quell’incontro. Cinque donne, ognuna con la sua storia e il suo bagaglio personale che, tra piatti gustosi e prelibati manicaretti, non hanno trovato difficoltà ad aprirsi, condividendo insieme gioie, tragedie e scelte coraggiose, ciascuna parlando del proprio risveglio. Scoprivo, in ogni loro sguardo, che non è difficile denudare l’anima…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

L’Ultima Casa


L’ULTIMA CASA (Vincitore del premio letterario nazionale La Città e il Mare, pubblicato nella raccolta relativa al concorso )

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Espropriare la casa a qualcuno, questo era ciò che del mio lavoro non mi piaceva, anche se i motivi potevano essere il bene comune o il cammino del progresso. Così mi accinsi, con un certo disagio, a bussare per la seconda volta alla casa del vecchio, che si ergeva sul promontorio a nord della città. Era l’ultima abitazione di quelle costruite dai pescatori nel dopoguerra, il nucleo da cui prese vita la grande e moderna città di oggi. La prima volta lui, curvo, pallido e dai vecchi occhi azzurri e umidi, mi aveva accolto male, sbattendomi la porta in faccia. Stavolta lentamente aprì “Ah, sei tu?” Mi disse. “Sì sono io e ora deve starmi a sentire!” risposi in tono perentorio. Lui mi squadrò ed era difficile interpretare il suo sguardo. “Entra!” mi intimò, ed entrai nella sua casa di legno. Le travi che cigolavano allo sferzare del vento e la veduta che da lì si godeva mi fecero sentire come in un antico veliero perso in alto mare. ”Mi stia a sentire, il comune le offre un’ottima buonuscita e inoltre le è stata assegnata una casa popolare al di là della ferrovia!”. “No! Da qui non mi muovo!” disse con fermezza. Mi invitò, però, a sedermi e mi versò un bicchiere di vino. Mi scrutava, mentre si accendeva un sigaro. L’odore che si sentiva era un misto di legno fradicio e di scoglio…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

Quei Quattro Minuti


 

QUEI QUATTRO MINUTI (Tra i vincitori del concorso letterario nazionale Mani in Volo, pubblicato nella raccolta relativa al concorso)

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C’era qualcosa che lo infastidiva, ma non riusciva ancora a capire cosa fosse. Si era svegliato presto, e provava un forte senso di nausea. Aveva preso lui la telefonata il giorno precedente e non immaginava che quell’intervento per un probabile suicidio sarebbe stata un’esperienza tanto coinvolgente. Come capo della squadra omicidi aveva sorriso della coincidenza che in quel momento fosse lui l’unico a poter intervenire. Prese due agenti, raccomandando loro di portare un taccuino e una penna. Si fermò anche per strada a prendere un caffè, come se in fondo non ci fosse poi così tanta fretta. La zona era poco fuori Roma, uno di quei quartieri nati per scommessa, con l’inganno delle cooperative edilizie, che facevano lievitare i costi delle abitazioni scelte su piantine cartacee, intercettando il sogno di chi la casa dove abitare credeva di poterla possedere a un costo sostenibile. Ora, a distanza di tempo, le palazzine erano state costruite, ma molti si erano trovati a doverne rivendere le quote. C’era il sole mentre entrava insieme ai due agenti nel giardino condominiale decoroso e pulito. Lui era stato colpito dal nulla che regnava attorno a quel quartiere, senza un supermercato nelle vicinanze o una farmacia, una scuola, persino privo di strade asfaltate. Ora, mentre ripercorreva gli avvenimenti per individuare ciò che l’aveva turbato, si chiedeva se fosse stato quel senso di isolamento oppure il profumo intenso degli oleandri appena fioriti, confuso con l’immobile carezza della mortalità…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

Perchè Proprio a Natale


PERCHE’ PROPRIO A NATALE

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A volte il ricordo di storie passate aggredisce l’anima nei momenti più impensati e forse più inopportuni. Come stamani, che mi devo affrettare per l’appuntamento che mi attende e invece, mentre sto facendo scorrere la cinta attraverso i passanti dei jeans, c’è qualcosa che rallenta le mie mosse e mi riporta a un fatto lontano, a una domanda che non mi ponevo più da anni e alla quale non sono mai riuscita a dare una risposta. Perché i miei genitori scelsero proprio il 23 dicembre come data per definire in tribunale la loro separazione? Il Natale era ormai così vicino che già se ne sentiva il calore, in quei giorni solo la voglia di chiudersi in casa, lontano dalla scuola, insieme a loro che solitamente facevano in modo di stare più tempo con noi durante le feste. Insomma, il Natale era lì, dovevamo solo afferrarlo e goderlo come ogni anno.
Uscirono presto quella mattina e ci lasciarono da un’amica di famiglia…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

La Terra di Nessuno


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Tutti la deridevano quella donna ben vestita, dalle labbra carnose dipinte di rosso, i capelli nero corvino e con ai piedi delle rumorose ciabatte. Arrivava la mattina presto, anche di domenica e i suoi pesanti passi echeggiavano nel quartiere, così come i canti che intonava una volta raggiunta la sua destinazione. Gli abitanti della zona detestavano ormai la sua figura grossa, i suoi occhi vividi e il modo prepotente che aveva di disturbare il loro riposo, anche nei giorni di festa. La donna portava con sé uno sgabello, sedendosi sul quale ogni tanto si riposava. Senza averne avuto il permesso o il compito lei aveva preso a coltivare la terra di nessuno, come la chiamavano i residenti, un lembo di suolo posto al crocevia delle strade del quartiere. Se la giornata era calda, lei tornava anche al tramonto e lasciava in un angolo di quel piccolo terreno i suoi arnesi da giardinaggio. Zappettava e irrigava con l’acqua che prendeva dalla fontanella, poi si sedeva sul seggiolino di legno ad ammirare come il suo lavoro stesse trasformando quella terra arida… e cantava forte. Non ci volle molto che venisse chiamata da tutti “la matta”.
In ogni villaggio c’è un pazzo, e in ogni comunità è quello che da fastidio…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

Il Compagno Amaro


IL COMPAGNO AMARO (Vincitore del concorso letterario nazionale Il Volo di Pegaso, bandito dall’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato nella raccolta relativa al concorso)

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Mi piaceva baciare mio marito, tanto. Sapevo che potevo sfiorare le sue labbra con le mie oppure baciarlo per ore, bere tutto l’amore di cui avevo bisogno. Amavo baciare anche i nostri figli e poi sorridere, ridere di cuore. Adoravo il mio lavoro, tradurre simultaneamente per ore i discorsi degli importanti funzionari della Comunità Europea per cui lavoravo. Sorridevo, parlavo, traducevo e, soprattutto, vivevo. Non potevo certo immaginare che quelli erano i miei ultimi sorrisi e i miei ultimi baci. Cominciò così, in una allegra e spensierata serata di settembre, mentre mi lavavo i denti. Una fitta, incredibilmente dolorosa, a cui non potevo essere preparata, che mi tolse il respiro e i battiti cardiaci per un lungo, interminabile intervallo. Partiva dai denti e prendeva la bocca, la guancia, squarciava il volto, per terminare nella profondità del cervello. Quando riaprii gli occhi, vidi la mia immagine trasfigurata nello specchio, con le labbra contratte in una smorfia di dolore, ma sembrava tutto finito. Terminai di sciacquare la bocca e pensai:”Accidenti, immagina se un dolore simile non se ne andasse mai, ci si potrebbe anche morire!”. Niente in quel momento mi fece capire che il mio destino era proprio quello: soffrire fino a morire. Allora riuscii a sorridere di me stessa e andai a dormire. Niente mi fece presagire di aver iniziato la via crucis che avrebbe segnato tutta la mia vita successiva. Se avessi guardato meglio nello specchio avrei visto l’ombra del compagno amaro che mi stava scivolando accanto, per non lasciarmi mai più: il dolore.
<<Qui ci vuole un bravo dentista!!>> pensai quando, la mattina dopo percorrendo l’Aurelia a velocità sostenuta, il dolore tornò a squarciarmi il volto, all’improvviso, senza dare alcun segno premonitore. Avevo rischiato di essere tamponata dall’auto che mi seguiva veloce e vicina quando, dovendo chiudere gli occhi e non capendo più nulla dalla violenza di tale sintomo, avevo sterzato all’improvviso, cercando di accostare al ciglio della strada, dopo una breve sbandata. Terrorizzata, frastornata ancora da ciò che avevo provato e dai clacson delle auto che mi redarguivano, mi guardai nello specchietto retrovisore. Due lacrime mi scendevano dagli occhi e il dolore non se ne stava andando via come la prima volta. Accidenti, continuavo a sentirlo, anche se più sordo, come un cane che mi stesse morsicando la guancia destra. Non dovetti attendere molto per risentirlo…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

https://www.amazon.it/DONI-DELLA-MENTE-Racconti-Pensieri-ebook/dp/B019CRTCRI/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1491772373&sr=1-1&keywords=i+doni+della+mente

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I Miei Racconti

La Generazione Mancante


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Una giornata di sole come non se ne vedevano da tempo nella vallata. Finalmente un vero accenno alla primavera dopo i vani tentativi di un sole stanco. Era il sedicesimo quarto del 2089. Roberto si era alzato presto, la riunione sarebbe iniziata di prima mattina e lui avrebbe dovuto concludere la fusione della Ditta da lui amministrata in Eurasia con quella gemella di Oltreoceano. Lui sentiva però nell’aria qualcosa di strano, che lo infastidiva, lo avvertiva anche ora che inspirava con gusto quell’aria mite. Nonostante ciò, il sole lo stava mettendo di buon umore e, ancor più, lo avevano rallegrato i tanti auguri giunti per il suo compleanno. Aveva iniziato la banca a farglieli, imprimendoli nel display delle transazioni online, poi gli si erano materializzati sullo schermo virtuale e tridimensionale, che occupava una parete dell’ampio salone di casa. Li aveva perfino letti sull’ordine telematico degli alimenti per la cena e, insomma, dovunque si fosse trovato a utilizzare il suo cartellino magnetico. Quel pass par tout, rigido e di un colore rosso vermiglio, gli era stato assegnato alla nascita e aveva accompagnato tutta la sua crescita, perfino l’entrata a scuola, in chiesa e nelle discoteche. Era stata la sua garanzia di appartenenza alla società che si era creata dopo l’Avvento dei Giovani. Le strade, delimitate da campi magnetici, registravano la sua entrata nel proprio settore, perfino i centri commerciali gli spalancavano le porte scannerizzandone gli estremi e, grazie ad esso, lui non aveva mai incontrato difficoltà. La nuova società, con le sue ferree regole e la sua capillare organizzazione, rappresentava un’indiscutibile certezza. I giardini, perfettamente curati e di dimensioni precise, sfoggiavano tutti la stessa piacevole gamma di colori, il ciclo dell’immondizia era strutturalmente diversificato e i rifiuti riutilizzati, le strade terse e senza tracce di rifiuti organici. Nella nuova dinamica sociale ognuno aveva la sua giusta collocazione, esattamente come tutto ciò che lo circondava. Senza contare che gli imprevisti erano stati quasi azzerati e perfino i fenomeni naturali, per quanto estremi, riuscivano a essere governati. Insomma, dopo l’Avvento tutto aveva ritrovato il proprio ordine. E ora lui, alla soglia del suo sesto decennio, sapeva che sarebbe finalmente entrato nella fase del miglioramento, una nuova e sconosciuta dimensione dove erano transitati coloro che lo avevano preceduto. Sarebbe stata una sorta di Nirvana, così dicevano le nuove scritture. Nei micro cip di storia veniva descritto dettagliatamente il fallimento della società degli anziani, ciò che aveva preceduto il nuovo assetto. E la vecchia società, caotica, sporca e inefficiente era ormai un lugubre ricordo che l’umanità doveva solo aborrire…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

Il Bacio dei Vecchi


IL BACIO DEI VECCHI 

Tra i vincitori del concorso letterario nazionale Memorial Miriam Sermoneta, pubblicato nella raccolta relativa al concorso.

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Nel bacio dei vecchi c’è tutto, ricordo che pensai quel pomeriggio d’autunno, seduta su di una panchina del Pincio. Andavo sempre lì quando qualcosa mi angustiava, e aspettavo che il sole tramontasse oltre la terrazza che dava su Piazza del Popolo, inondando di luce forte e calda le cupole romane. Lui mi aveva lasciato e ora guardavo con rabbia il diario e i libri dove avevo scritto centinaia di volte il suo nome. Mi sembrava di essere calata in un baratro senza possibilità di ritorno. Il mio primo amore, quello che poeti e scrittori hanno sempre decantato come il sentimento dei banchi di scuola, se n’era andato senza darmi un perché. Iniziava l’autunno e io avvertii una serie di brividi. Faticavo a capire se fossero dovuti al fresco serale o alla solitudine con cui mi accingevo a trascorrere l’inverno senza di lui. Non piangevo, no. Ciò che sentivo in quel momento andava ben oltre le lacrime.
Il sole iniziava la sua rapida discesa e io non sapevo come affrontare la sera, la prima sera nella quale non avrei pensato a lui se non con una rabbia infinita. Fu in quel momento che una coppia di anziani si sedette sulla panchina davanti alla mia. Mi davano le spalle e il sole che filtrava attraverso i loro capelli ne evidenziava la vecchiaia. Seduti vicini si guardavano e si tenevano le mani e, quando parlavano, io riuscivo a indovinare dei leggeri spruzzi di saliva, che uscivano dalle loro labbra, o dalle allentate dentiere. Lei era curata, pettinata con uno chignon sulla nuca e lui ancora aveva buona parte della chioma, che ora veniva scompigliata dal leggero vento dell’autunno romano…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

La Vera Storia della Befana


                            LA VERA STORIA DELLA BEFANA

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Silvia era rientrata da poco a casa. Si era fatto tardi come sempre e lei si sentiva molto stanca. Ma era la sera del cinque gennaio e sapeva che i suoi figli aspettavano in quella notte, come tanti altri bambini, l’arrivo della Befana.
La casa era fredda e lei corse subito ad accendere il camino. I ciottoli erano talmente umidi che non riuscivano a prendere fuoco. Alla fine, aiutandosi con una ventola Silvia vide che la legna iniziava a scoppiettare. Era ora di mettere su la minestra per i suoi piccoli, che stavano per tornare. Erano andati ad acquistare le calze da appendere sotto al camino. Robertino, Giulia e Giovannina rientrarono di lì a poco.
“Ciao mamma, guarda cosa abbiamo comperato?” disse Giovannina, la più piccola alzando le manine e mostrando una calza rosa a strisce bianche. Robertino gliela sfilò dalle mani e fece finta di gettarla nel camino.
“No, dammela! Mamma lo vedi è sempre lui!” gridò Giavannina.
“Robertino non mi fare inquietare, ridai immediatamente la calza a tua sorella!” disse Silvia pazientemente. Lui, invece, continuava a correre su e giù per la stanza con quella calzetta in mano, continuando a minacciare di gettarla nel fuoco.
“Uhu!” cominciò a piangere Giovannina, stropicciandosi gli occhi.
“Continua dai, così stanotte la Befana non ti porterà proprio niente!” gli gridò Giulia, la sorella più grande. A quella minaccia Robertino si fermò di colpo e restituì la calza alla sorellina, abbracciandola.
“Non piangere dai, lo sai che io scherzo!”. Giovannina afferrò la calza e ci si asciugò le grosse lacrime, abbozzando un immediato e tenero sorriso.
Ognuno di loro aveva voluto un colore diverso per la propria calza. Mentre quella di Giovannina era rosa a strisce bianche, Giulia ne aveva scelta una rossa a strisce verdi e Robertino una gialla a strisce blu. Tutti e tre, apparentemente tranquilli, andarono a posizionare le calze ai lati del camino.
“Che buon odore di minestra!” disse Robertino, avvicinandosi alla mamma. Silvia carezzò i suoi capelli rossi.
“Tra poco sarà pronto. Apparecchiate la tavola per piacere?”.
“Mamma, io non posso, perché voglio iniziare la ricerca sulla Befana, mi devo mettere un momento al computer, prima di cena” disse Giulia, la più grande, una ragazzina dai capelli neri come la pece.
“Ti aiuto io mamma!” si offrì Giovannina. Era una bimbetta bionda e la mamma si sbizzarriva ancora a pettinarla con la coda o con i ciuffetti ai lati della testa. Faceva tenerezza piccolina com’era, mentre prendeva i piatti che le porgeva la mamma e li andava a posizionare sul tavolo dove ancora non arrivava bene in altezza.
Robertino invece, avendo già dimenticato i buoni propositi, stava dando fastidio a Giulia, mentre lei stampava la cartina geografica di Betlemme.
“Vedi è qui che è nato Gesù” gli disse Giulia, indicandogli un luogo preciso della mappa. Lui vi gettò uno sguardo distratto e tornò a farle un dispetto, mentre lei iniziava a battere sui tasti del computer per scrivere almeno l’inizio della ricerca.
Le immagini scomparvero dallo schermo.
“Mamma! Lo vedi! E’ sempre lui, guarda, ora come faccio a fare la ricerca!”
“Robertino…BASTA!” gli urlò la mamma e poi rivolta a Giulia:
“Adesso è ora di cena, dai, venite a mangiare. Alla ricerca penseremo domani, ti aiuterò io”. Robertino era elettrizzato, non stava un minuto fermo e anche mentre le sorelle gustavano la zuppa, lui trovava il modo di infastidirle.
“Guarda Robertino che ha ragione Giulia, se continui così la Befana riempirà le loro calze di dolci e di giochi e per te riserverà solo il carbone, è questo che vuoi?” Lui si grattò il naso coperto di lentiggini e per un po’ non disturbò. Silvia ricordò di avere un vecchio libro di favole e pensò che sarebbe stato bello, dopo cena…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I Miei Racconti

I Suoi Passi Leggeri


I SUOI PASSI LEGGERI                                                                                                                                   Finalista al concorso letterario nazionale La Memoria, pubblicato nel volume Micol                                                   

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Non mi è mai piaciuto mio nonno, dico sul serio. Anzi per la verità non sono mai riuscito a soffrire la sua presenza dentro casa nostra. La nota stonata che trasformava la melodia della nostra vita familiare in una nenia tediosa che non si aveva voglia di ascoltare. Eppure non c’era nulla da fare, nonostante avessi più volte manifestato la mia insofferenza a quella presenza pesante e deprimente, tutta la mia famiglia si univa compatta dalla sua parte, lasciandomi solo. Mi chiedevo perché mai i miei genitori nutrissero devozione verso quel rottame umano che minava la nostra serenità. Mio padre era aperto a ogni dialogo con me e mio fratello più piccolo e la comprensione che mia madre aveva nei nostri confronti era infinita. Sì, ma non per ciò che riguardava l’argomento nonno. Così io capii ben presto che era inutile insistere. Avrei dovuto sopportare quell’uomo con i suoi occhi affossati e cerchiati di nero e quel viso deformato da una paresi che gli torceva la bocca, dai lati della quale colava sempre un po’di saliva, e la cui smorfia lasciava intravedere i resti ingialliti della sua antica dentatura. Avrei ancora dovuto vedere i suoi capelli ricci, candidi e radi, che stanchi ricadevano sulla sua fronte segnata. Tutto di lui mi inquietava, odiavo il suo odore di vecchio, detestavo le sue mani macchiate e rugose al punto da non riuscire più a mangiare il pane se solo lo aveva toccato. E infine quel numero marchiato all’interno del suo polso 12956, con un inchiostro blu, ancora nitido tanto da contrastare con la sua pelle quasi trasparente, come un livido che non se ne sarebbe mai andato…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

https://www.amazon.it/DONI-DELLA-MENTE-Racconti-Pensieri-ebook/dp/B019CRTCRI/ref=sr_1_1?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1491772373&sr=1-1&keywords=i+doni+della+mente

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I Miei Racconti

C’era una volta una donna Bellissima


C’ERA UNA VOLTA UNA DONNA BELLISSIMA

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C’era una volta una donna bellissima, dai lunghi capelli neri e due occhi talmente grandi che guardandoli si riusciva persino a entrare nella sua anima. Il suo sorriso era una brezza che raggiungeva il cuore, le sue mani morbide carezzavano in modo sublime e le sue labbra si nutrivano di me, baciandomi. Il suo profumo pervadeva tutta la casa e le ninne che mi cantava continuavano a cullare i miei sogni, fino al mattino. Era bello stare con lei, insieme vedevamo sorgere il sole, trascorrere il giorno e giungere la notte, sempre vicine. Le pappe, le nenie, l’odore del suo latte, le favole che parlavano di un mondo lontano, ma che lei riusciva a rendere vicino e possibile. Inebriante era scoprire che l’Universo, attraverso i suoi occhi, era un orizzonte luminoso dove tutti i nostri desideri si sarebbero potuti realizzare. Un rincorrersi infinito di fate e di gnomi che sembravano materializzarsi, rendendoci parte della loro infallibile magia. E la donna bellissima, meravigliosa volgeva il suo sguardo felice a me e al mio crescere armonioso.
Tutto questo festoso entrare in innumerevoli castelli incantati, si fermò nel giorno in cui una strega cattiva fece sì che vedessi la donna bellissima, ancora prima dell’alba, pronta a uscire, indossando un grembiule grigio e con i lunghi capelli raccolti in una cuffia bianca.“Dove vai? ” stentai, cercando di far uscire le mie prime sillabe, una domanda che lei intuì solo dal mio sguardo di infante. Era bellissima quella donna, anche con il grembiule che mortificava le sue forme e la cuffia che nascondeva la sua folta chioma. Mi rivolse un sorriso, meno vibrante di quelli a cui ero abituata, quasi triste. “Sei grande ora, io torno in fabbrica, tra poco viene la vicina”. Un bacio veloce e leggero sulla mia fronte impallidita. Sola, mi lasciava sola senza più magie da creare! Tentai a lungo di richiamare le mie amiche fate, per far realizzare l’unico desiderio che sentivo crescere a dismisura in me, quello cioè di averla ancora vicina. I castelli incantati erano crollati sotto i colpi di quell’unica realtà, lei andava al lavoro, anche se io non ero grande, non parlavo ancora e non sapevo neppure nutrirmi. E doveva farlo per darmi da vivere. Così giorno dopo giorno, ogni mattina, senza pietà, prima dell’alba lei doveva lasciare il caldo del nostro letto e anche se pioveva o nevicava, oppure tuonava forte…

Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:

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I MIEI LIBRI

Nessun Segno sulla Neve


                                                                La nuova edizione di Universo Edizioni

La trama del romanzo inizia ai giorni nostri e porta ad un avvenimento di tanti anni fa, che risale al 1968 ed al periodo nel quale il protagonista del racconto frequentava il liceo, quando accadde un orribile omicidio all’epoca rimasto irrisolto. Questa storia, che sembrava dimenticata e sepolta, torna ad essere improvvisamente e drammaticamente attuale per lui, ora brillante e stimato medico oncologo di mezza età, quando in un caldo e pigro pomeriggio settembrino, il pomeriggio “perfetto”, come lo definisce lui stesso, si diverte a navigare in internet insieme al figlio. Aiutato da quest’ultimo, infatti, entra nel sito di Facebook e si imbatte nel profilo della ragazza che amava disperatamente in quegli anni, dalla quale purtroppo non era mai stato ricambiato. E’ l’inizio di un viaggio interiore intriso di profonda nostalgia, ricordi e passioni, che porterà il suo destino ad intrecciarsi in modo imprevedibile con quello della ragazza, divenuta ormai una donna matura. Il racconto offre un appassionante, fedele e nostalgico spaccato della vita italiana durante i grandi avvenimenti e mutamenti sociali e politici, che segnarono in modo indelebile un’intera generazione, fornendo una nuova chiave di lettura su un periodo storico controverso come è stato in molti casi il ’68. I suoi contenuti sapranno quindi parlare delle profonde passioni e dei disperati amori a chi li ha vissuti all’epoca e a chi ne è tuttora alla ricerca. Ad arricchire il racconto una trama gialla che parte da un episodio criminoso avvenuto allora e termina, con un finale a sorpresa, ai giorni d’oggi.

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  Le prime vecchie edizioni ora fuori catalogo

Su questo libro si sono dette tante bellissime cose, lo potrete scoprire leggendo le recensioni e i commenti dei lettori. e’ stato presentato in vari contesti, a Roma e nella sua vasta provincia, così’ come a Genova. l’evento più importante e di grande rilievo e’ stata la scelta fatta dal comune di Roma di presentarlo nell’ambito delle manifestazioni culturali estive comunemente note come Estate Romana. Nella videogallery e nella photogallery troverete le immagini e potrete ascoltare la musica eseguita al piano dal maestro Luigi Maio, l’intervista del regista Fabio Bellucci, di Etruriain.tv. E’ stata un’occasione irripetibile, sotto il cielo della mia Roma, nei giardini di Castel Sant’Angelo, a pochi passi da San Pietro e dal fiume Tevere. Questo forse il ricordo piu’ bello legato al libro scritto con la mano sinistra, quella del cuore…

Questo libro ha vinto il 5 luglio 2013 l’ambito Premio Letterario Nazionale Perseide,assegnatomi da due giurie, una popolare formata da quaranta lettori e l’altra di qualità composta da critici letterari, giornalisti e personalità del panorama letterario. La premiazione e’ avvenuta a Roma presso l’Auditorium Confesercenti di Via Nazionale. Il premio vinto prevedeva, tra l’altro, la presentazione del romanzo alla Fiera del Libro di Roma Piùlibripiùliberi, dove è stato presentato l’8 dicembre 2013 alle ore 11.00 presso la Sala Corallo della Fiera del Libro, nel Palazzo dei Congressi di Roma.

Pagina Facebook dedicata al libro:                                                                                             https://www.facebook.com/pages/NESSUN-SEGNO-SULLA-NEVE/504029679694675?ref=ts&fref=ts

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Le Recensioni, Nessun segno sulla neve, recensioni

Tutte le recensioni al libro “Nessun Segno sulla Neve”


Di seguito le moltissime recensioni che il libro ha ricevuto, sia nella sua prima edizione di Laboratorio Gutenberg, che lo ha inserito nella collana editoriale “Oltre la città”, che in quella di Universo Editoriale, che lo ha rieditato nel 2015 e inserito a sua volta nella collana editoriale”Crimini Innocenti” . Il libro ha vinto il Premio Letterario Nazionale Circe 2013, è stato tradotto nell’edizione inglese “No steps on the snow” ed è stato in catalogo presso l’Italian & European Bookshop di Londra.

 

Miriam Alborghetti per L’Ortica del Venerdì:IL CAPOLAVORO IN CASA

Molti sono convinti che sia necessario allontanarsi dai luoghi a loro vicini per poter incontrare ambienti, paesaggi o persone di grande valore. In verità la categoria del “bello”, dell’”appassionante”, a volte del “sublime” sta dietro l’angolo o addirittura davanti agli occhi. Ed è proprio questa la riflessione da cui può essere colta una qualunque persona, residente nel nostro comprensorio, dopo aver letto Nessun segno sulla neve, un romanzo ambientato tra Roma e i nostri lidi, scritto da una nostra concittadina, residente a Cerveteri, dotata di una incredibile vena narrativa. Una storia appassionante, una narrazione condotta in modo magistrale. Ritmi concitati e pause riflessive perfettamente calibrate. Suspence e colpi di scena. Una doppia voce narrante, quella del protagonista alternata con quella dell’antagonista. Un finale mozzafiato. Un’analisi introspettiva dei personaggi degna di uno psicologo. Il ritratto di un’epoca, il ‘68 romano, con le sue tensioni sociali, politiche e culturali, sentito come un passato, rivissuto attraverso la memoria, fatto di emozioni spontanee e vere in contrasto con un presente cinico e privo di passione. Amore e odio. Ragione e sentimento. Giovinezza e Maturità. Vita e morte. Nostalgica rimembranza e rimozione. Eros e thanatos. I grandi opposti si alternano, si attraggono e si respingono con un ritmo crescente nel tentativo di una impossibile composizione armonica. Un thriller psicologico di grande impatto emotivo, che lascia il segno, un pugno allo stomaco dei nostri sentimenti. E che induce indubbiamente a riflettere, conducendo il lettore, a volte dolcemente a volte violentemente, nei meandri delle passioni negate e delle illusioni perdute. E sono queste le ragioni per cui Nessun segno sulla neve, il primo romanzo di Daniela Alibrandi, pubblicato nel 2010, è stato apprezzato dalla critica e dai lettori al punto da essere alla sua seconda riedizione e da ricevere diversi riconoscimenti. Ed è per il suo indubbio valore letterario che il 5 luglio scorso è stato insignito del Premio Circe, bandito dalla Associazione Culturale Circe, dopo aver superato il giudizio di due giurie, quella popolare formata da quaranta lettori volontari, e quella di qualità composta da personalità in campo artistico, giornalistico e letterario. Il libro “Nessun Segno sulla Neve” ha vinto inoltre una importante promozione editoriale, con divulgazione dell’opera attraverso pubblicazioni cartacee, in rete e presentazione alla Fiera del libro di Roma “Più libri più liberi2013” a cura dell’agenzia letteraria “La Bottega Editoriale”.

Ricordiamo che la nostra autrice, in passato già vincitrice di importanti premi letterari, ha pubblicato i romanzi “Il Bimbo di Rachele” nel giugno 2012 e “Un’Ombra sul fiume Merrimack”. Quest’ultimo, rientrato tra i vincitori del premio letterario internazionale Nanowrimo 2012, è stato pubblicato in Amazon, come e-book, e in cartaceo da Youcanprint Edizioni nel marzo 2013. E tra pochi giorni, nell’edizione inglese “A Shadow on Merrimack River”, uscirà anche negli Stati Uniti e negli store online Europei. Non possiamo che complimentarci con Daniela Alibrandi, nostra preziosa collaboratrice e feconda scrittrice di racconti e romanzi, augurandole sempre maggiore successo

Domenico di Basilio per Leggere a Colori:

http://www.leggereacolori.com/leggere-a-colori/letti-e-recensiti/recensione-di-nessun-segno-di-daniela-alibrandi/

Un pezzo di passato che si credeva dimenticato torna per sconvolgere la vita. Un efferato omicidio senza risoluzione che terrà il lettore in sospeso.

Ci sono due correnti di pensiero per quel che riguarda quel periodo storico che tutti noi conosciamo come il ’68. Chi c’era lo ricorda come un periodo dalle mille contraddizioni. Rinnovamento, rivoluzione sociale, emancipazione e tutte quelle novità intellettuali che poi diventeranno la norma, più o meno, negli anni a venire. Chi non c’era li rivive nelle storie, nei racconti che per quanto oggettivi sono sempre di parte negli occhi di chi li ha vissuti. E proprio da questa contrapposizione che inizia Nessun Segno sulla neve di Daniela Alibrandi e ci catapulta subito in questa visione. Un padre che ritrova una vecchia fiamma mai dimenticata su facebook galeotto anche questa volta come non mai. Un padre che si ritrova a vivere in un’epoca dove si sente un po’ estraneo e solo con l’aiuto della figlia riesce a districarsi..ma non e’ soltanto questo.

E’ un episodio ancora irrisolto successo proprio negli anni di piombo, dove i ragazzi oltre ad essere considerati ‘rivoluzionari’ si divertivano, si amavano e cercavano di cambiare le cose. Proprio da quell’episodio rimasto sopito da allora il nostro protagonista rivive con nostalgia il passato e tutto quello che ne consegue insieme al suo vecchio amore riscoperta donna e che rientra prepotentemente nella sua vita. Il ritmo in alcuni momenti cambia così repentinamente da lasciare senza fiato..calmo, riflessivo per poi diventare incalzante. Perché si c’è uno spaccato di vita vissuta come trama principale che tira le fila della narrazione, ma mai troppo nascosto c’è questo alone di thriller che rende la scrittura e fortunatamente per noi, la lettura davvero appassionante il tutto condito da colonna sonora perfetta per quel periodo.

La cosa che colpisce e che apprezzo sempre in qualsiasi scritto, e’ la capacita di immergere e di far immaginare uno sfondo, un paesaggio e uno momento narrato come se fosse la scena di un film. Lo dico con tutta la stima possibile, ma credo che Nessun Segno sulla neve di Daniela Alibrandi possa benissimo essere messo in atto come un giallo all’italiana, un giallo intrigante che ha tutti gli elementi per tenere incollati allo schermo gli spettatori, dopo aver fatto lo stesso con i lettori.

Mi sento davvero di consigliarlo perché di libri buoni ce ne sono molti per fortuna, ma di libri buoni che si ricordano e’ più difficile trovarne..e questo non si dimenticherà facilmente.

 

Per Il Trovalibri: Il thriller della futura Patricia Cornwell

http://iltrovalibri.it/2012/11/23/daniela-alibrandi-il-thriller-della-futura-patricia-cornwell-2/

Nessun Segno sulla Neve

Un avvenimento di tanti anni fa, che risale al 1968 ed ai tempi del liceo, una storia che sembra ormai dimenticata e sepolta. Un orribile omicidio, al quale non è mai stato dato un colpevole. Ma per un brillante e stimato medico oncologo di mezza età, tutto ritorna all’improvviso drammaticamente attuale. In un caldo e pigro pomeriggio settembrino, infatti, divertendosi a navigare in internet insieme al figlio, entra nel sito di Facebook e si imbatte nel profilo della ragazza che amava disperatamente in quegli anni, dalla quale purtroppo non era mai stato ricambiato. Da qui parte un viaggio interiore fatto di profonda nostalgia, ricordi e passioni , che porterà il suo destino ad intrecciarsi in modo imprevedibile con quello della ragazza, divenuta ormai una donna matura. Il racconto offre un appassionante, fedele e nostalgico spaccato della vita italiana durante i grandi avvenimenti e mutamenti sociali e politici, che segnarono in modo indelebile un’intera generazione, quella del ’68. I contenuti del racconto sapranno quindi parlare delle profonde passioni e dei disperati amori a chi li ha vissuti all’epoca e a chi ne è tuttora alla ricerca. Ad arricchire il racconto una trama gialla che, partendo da un episodio criminoso avvenuto allora, conduce ad oggi, per terminare con un finale mozzafiato.

Andrea Benei per Booky Booky:

Alcune storie meritano di essere raccontate. Alcune di queste perché ritraggono alcuni profili di uomini e di donne le cui azioni ben rappresentano il mondo dentro al quale ci muoviamo tutti, e da cosa questo mondo ha ereditato i suoi tratti somatici. È indubbio, per l’Occidente, che uno di questi mondi sia stato il decennio dei ’60.

Scendere in quegli anni, oggi, è possibile per lo più attraverso i documenti e le opere che quegli anni hanno generato, e che abbiamo ereditato, conosciuto, e sui quali si basa oggi un vivace revival dell’energia vitale che i Sessanta possedevano ed esprimevano senza difficoltà. Il nostro approccio alla preparazione culturale, alla società civile, e la moda, e addirittura uno tra i più seguiti serial televisivi sono adesso frutto di elaborazioni sgorgate in quel tempo lontano ormai mezzo secolo.

La storia di Daniela Alibrandi, esordiente, regala un’esperienza più viva di tutte queste. Nessun segno sulla neve è una discesa nella vita quotidiana di quegli anni, attraverso una prima persona sorprendente per un’autrice: un uomo.

Un uomo del nostro tempo, degli anni duemila, che avvicinandosi ad un altro burrone, i social network, compie quasi inconsapevolmente un’operazione affettiva ovvia: cercare i protagonisti del suo passato, quello emotivo, quello dell’adolescenza. E spalancando così nuovi contatti recisi dal tempo, quest’uomo riscopre, e con lui noi, il bel ’68.

Facce, persone, personaggi, avventure, sensazioni fisiche e tumulti del pensiero e del cuore risorgono come appena vissuti, e il medium del suo ricordo offre al lettore l’impressione sublime di percorrerli come potessero essere i propri.

Roma. L’eterna, silenziosa, la testimone perfetta dei moti dell’umanità, quelli grandi e quelli non visti, sfuggiti. Il ruggito del ’68 qui non è una registrazione in bianco e nero, o una ricordanza documentale, è una visita di persona in una quotidianità sconvolta dalla passione di quel periodo, chiusa nelle aule di una scuola, nelle pareti di una casa di quartiere, strillata per vie dove il rosso e il nero si spezzavano all’uscita dai licei, per fronteggiarsi e per risolversi nella società italiana di oggi.

Partecipare alla politica del corteo e soffrire l’invadente presenza di genitori per la prima volta non temuti, non presi più ad esempio, semplicemente svelati in tutta la loro antichità di costumi, di costrutti, di valori. Organizzare scherzi e baruffe, conoscere ambulanti e professori, innamorarsi e lottare fisicamente per un futuro che sia, dopo le brutture dei padri in guerra, finalmente a misura d’uomo.

Molte ragazze oggi prendono ad esempio l’aggressivo femminismo delle sessantottine, ed ormai quest’immagine stantia è diventata anacronistica, pop, conosciuta per capi sommi e imprecisi. Daniela Alibrandi, come se non ci sorprendesse già con l’inquietante precisione con cui si è calata nei panni di un uomo, propone una protagonista femminile magica, slacciata da ogni cliché abusato del ’68. Milena, di una bellezza virale, dagli occhi non azzurri, non verdi: trasparenti. Associazione mentale: cosa contenga il vuoto, è una delle domande che portò Yves Klein a lanciarsi da un palazzo. E in quello sguardo limpido come un volo verso il basso troveremo uno dei più realistici esempi della sofferenza e del costo che l’emancipazione di sé può chiedere a una donna.

Milena è una chiave prodigiosa per capire quel periodo, per riflettere se quel periodo si sia effettivamente risolto come si auguravano i ragazzi che corrono e vivono tra le righe di Nessun segno sulla neve.

Questa bella prima prova svapora in un fumo di thriller, alcune pagine di diario fin dall’inizio fanno sbandare il lettore verso un climax drammatico che si svela piano, ma a intervalli sempre più corti. Inizierete a leggere questo romanzo per vedere Roma nel ’68, o per respirare l’aria delle manifestazioni che hanno permesso i successi e i fallimenti della nostra società, oppure per scoprire cosa pensino gli uomini, e vi troverete stretti in una storia convulsa e romantica che, come il ’68 ci ha insegnato, non può esimersi dal sanguinare per trovare finalmente la propria soluzione.

La nuova edizione di “Nessun segno sulla neve” pubblicata nel 2015 da Universo Edizioni e inserita nella collana editoriale Crimini Innocenti

Massimiliano Baldacci per L’Opinione di Civitavecchia:

Cosa accadrebbe se, dopo aver creduto di calpestare la distesa bianca e vergine di neve che è la nostra vita, ci accorgessimo, voltandoci indietro, di non aver lasciato alcun segno sulla neve?” E’ con questo interrogativo che i partecipanti all’incontro di Giovedì scorso, lasciano la sala della Biblioteca Civica dove è stato appena presentato il libro dal titolo “Nessun segno sulla neve”, scritto da Daniela Alibrandi per le Edizioni Laboratorio Gutemberg, Alla presenza di un pubblico attento ed eterogeneo, la presentazione si apre con una introduzione al testo ed alla scrittrice da parte del critico e giornalista Fabio Sajeva, delle Gutemberg. Subito dopo la docente Velia Ceccarelli, oltre a presentare la vita artistica e personale dell’autrice con tono appassionato e coinvolgente, sottolinea come la narrazione della Alibrandi abbia la capacità di saltellare con naturalezza sui due grandi temi che emergono dallo sfondo dell’opera. Da un lato l’afflato romantico e rivoluzionario di una voglia di emancipazione dalla società borghese contro cui si scagliarono i ragazzi del 68 e dall’altra le misteriose dinamiche individuali che ci parlano di amore e gioia piuttosto che di dolore e sofferenza. Con una sgradita ospite che fa irruzione in modo prepotente e che non abbandonerà mai più la scena, la violenza, declinata nel privato piuttosto che nel collettivo. Sempre la Ceccarelli nel presentare le tematiche contenute nel testo che, ricordiamolo, per una “buona” parte della storia del romanzo si svolge proprio nel territorio di Santa Marinella, pone per prima – in un gioco di batti e ribatti con Sajeva, le prime domande all’autrice. Quest’ultima padroneggiando le scomode domande provocatoriamente poste dai complici co-presentatori, dopo aver bene sostanziato i temi posti alla sua attenzione sul clima vissuto negli anni del ’68, sulle lotte politiche tradite dalla politica, sul suo a-femminismo e poi ancora su legalità e famiglia, fa virare  l’attenzione al testo, in modo più approfondito. Lo spunto viene dato dalle “Voci” della biblioteca che, estrapolando alcuni brani dell’opera in modo particolarmente espressivo portano i partecipanti per qualche passo nelle trame del romanzo. Alla lettura, il romanzo scorre con ritmi decisamente coinvolgenti, probabilmente la scelta dell’io narrante inframmezzato da scorci tratti da ricordi e di appunti da diario, genera nel lettore una maggiore identificazione con il protagonista. Volendo evitare l’elegia di cortesia, possiamo segnalare all’autrice – nella speranza che voglia farne tesoro, il fatto che in alcuni tratti, avendo scelto per protagonista un uomo, a quest’ultimo sembra fargli toccare moti dell’anima e sfumature in alcuni momenti decisamente troppo femminili.  Sicuramente il tema affrontato è indiscutibilmente vasto e complesso, come si ricordava all’inizio, le vicende personali innestate nei sommovimenti di quegli anni posti in parallelo con le sconfitte valoriali di chi vive nell’attualità non è una chiave di facile soluzione. L’autrice però con spiccato senso tattico risolve il suo romanzo facendolo divenire un thriller dai toni noir, non banale e assolutamente sorprendente. Il gioco dei ruoli è particolarmente interessante e le figure che appaiono al principio passive risolvono il romanzo in modo decisamente inaspettato. Senza dubbio, la crisi che attanaglia l’attuale modello socio-politico, è figlia di quelle sconfitte morali e, che lo si voglia riconoscere o meno, ci stiamo nutrendo in un bel frullatone di disvalori consumistici, dei suoi peggiori frutti. Non è un caso infatti che le interessanti domande al termine della presentazione, portano il segno di una cocente delusione e senso di tradimento, proprio di quei valori di cui la rivoluzione sessantottina intendeva farsi portatrice. Oltre ai complimenti e all’apprezzamento nei confronti dell’opera, non erano pochi coloro che già avevano letto il romanzo, l’autrice ha felicemente risposto anche alle domande circa i contenuti politici e passionali della storia. Non sono infatti passate inosservate, ad alcune lettrici, alcune delle pagine piuttosto calde che in qualche misura graffiano le sensibilità più castigate. Come ricorda la quarta di copertina “Il racconto offre un fedele e nostalgico spaccato della vita italiana durante i grandi mutamenti sociali e politici che segnarono un’intera generazione, quella del ’68. Profonde passioni e disperati amori  per chi li ha vissuti all’epoca e per chi ne è ancora alla ricerca. Ad arricchire il racconto una trama gialla che partendo da quegli anni conduce ad oggi, per terminare con un finale mozzafiato”. Ci sembra un bel viatico tutto sommato, per una Autrice che di certo ci riserverà come annunciato al termine della presentazione e prima dei saluti di rito, un nuovo libro su un tema importante quanto delicato come quello centrato sul mondo della violenza sui minori.

Alessandro Colò per Kathodik:

Facciamo una premessa, ciò che mi aveva attratto di questo libro era stata la quarta di copertina che riportava le testuali parole: “Il racconto offre un appassionante, fedele e nostalgico spaccato della vita italiana durante i grandi avvenimenti e mutamenti sociali e politici che segnarono in modo indelebile un’intera generazione, quella del ’68”, invece probabilmente è proprio questo il limite più grande del racconto… Ma andiamo per gradi.
Il romanzo prende il via dalla descrizione della quotidianità di un affermato oncologo romano che casualmente, e grazie al figlio “smanettone”, entra in contatto tramite Facebook con il proprio passato e con un amore a tratti morboso mai realmente sopito nel tempo. Da qui partono una serie di flashback che ci catapultano alla fine degli anni sessanta, periodo in cui il futuro medico frequentava i primi anni del liceo e veniva chiamato Dustin, per la somiglianza con l’attore americano a quel tempo sulla cresta dell’onda (e già qui si sente quel sapore un po’ forzato della ricostruzione del tempo che fu). L’amicizia al tempo faceva gioiosamente convivere il nostro Dustin tendenzialmente di sinistra (non per scelta ma per essere vicino alla ragazza dei suoi sogni, Milena, che naturalmente gli preferiva il bel capopopolo organizzatore delle manifestazioni) e Nuccio, suo compagno di banco e di scorribande, benestante proto-estremista di destra.
La serenità del presente del professore, fatto da una stabile amante e da una quieta moglie oltre che da una famiglia affettuosa, viene quindi irrimediabilmente turbata dal passato e dal desiderio di chiudere il cerchio affettivo che lo lega ancora alla bella Milena e ad alcuni fatti tragici e violenti su cui non è mai stata fatta chiarezza.
Questa in “soldoni” la trama, che come dicevo trova il suo freno maggiore nelle ambientazioni del passato, in cui viene presentato un ’68 a tratti stereotipato e a tratti malinconico dove non si respira l’aria fatta di grandi sogni, grandi speranze e grandi ideali ma anzi, in alcuni passaggi, sembra quasi che si voglia racchiudere il tutto negli episodi di violenza fini a se stessi.
Il meglio del romanzo invece ci viene dalla grande padronanza di scrittura dell’autrice Daniela Alibrandi che risulta, in alcuni passaggi descrittivi soprattutto di luoghi e paesaggi (le vicende si dipanano in una Roma inconsueta, disegnata con maestria e passione, una maestria e una passione che sembrano venire da chi certi posti li ha vissuti intensamente), scrittrice di valore potenzialmente enorme.
La trama gialla, a differenza delle vicende affettive, è decisamente ben costruita il che rende la lettura, maggiormente nella seconda parte del romanzo, godibile e ricca di pathos.
Quindi in conclusione un consiglio ai lettori, superate quelle parti che possono avere un sapore un po’ artefatto e quelle che rischiano di sfociare nell’harmonyzzazione del racconto perché superata la collina la strada è in discesa e vale la pena percorrerla. Vi garantisco che a bilanciare il tutto ci sono anche alcuni momenti pulp da non perdere.

Centro di Documentazione di Pistoia:

Le ubbie di un professionista romano, uno che ha fatto carriera, ha cambiato il proprio status sociale con un matrimonio socialmente azzeccato, ha una famiglia che, come tutte le famiglie, passa attraverso le varie crisi, classiche ma non devastanti nei rapporti tra generazioni diverse; tuttavia in mezzo ad altri banalissimi e presunti segreti di corna da professionista borghesuccio nasconde un segreto, anzi, un peccato segreto di gioventù. Dopo aver scoperto quale strumento potente sia la rete informatica con i social network, cade volontariamente in una ricerca di quel che è stato realmente quello che lui, il protagonista, ha sempre considerato il miglior periodo della sua vita. È un viaggio interiore, fatto di ricordi ma anche di ricerche pratiche per ritrovare un notiziario 219 amore giovanile, trasformato dalla nostalgia nell’amore-vero-e-puro-della-vita. Con un finale mozzafiato. Una lettura del periodo più difficile della seconda metà del Novecento per tutto il pianeta, il ’68 e dintorni, piuttosto banale per chiunque Io abbia vissuto in prima persona, a Roma come in qualsiasi città di provincia. L’autrice non sembra in realtà interessata a raccontare la Storia attraverso le storie, questo è un giallo ambientato nell’attualità con flash back nel passato di ieri letto come un periodo in cui si sentiva tanta buona musica, finalmente anche roba d’oltremare, e in cui scopriva sesso e libertà di marinare la scuola con uno sfondo fatto di violenza estrema, di scontri tra fascisti e compagni, ma che era lontana dalla vita della stragrande maggioranza degli studenti che, infatti, faranno le loro scelte e la loro vita indipendentemente dagli avvenimenti in cui sono immersi. Salvo poi misurarsi con la concretezza della quotidianità senza ideologia ma con tanta violenza a cui nessuna pratica degli anni ’70 può porre rimedio, e che ha un solo sbocco, evidente nell’ultimo capitolo del libro. Amaro anche nella realtà.

Aurora Logullo per La Bottega Editoriale:

Nessun segno sulla neve è un giallo sui generis. Un percorso che si apre con un salto indietro nel tempo, agli anni del liceo, per rivivere le stesse intense sensazioni di allora o sistemare qualcosa lasciato in sospeso. A volte poi basta poco perché ci si trovi sommersi dal flusso dei ricordi e dal desiderio di recuperare rapporti ritenuti fondamentali un tempo, ma lasciati andare. Nell’era dei social network, poi, in cui digitando un nome in uno spazio vuoto si possono ritrovare con facilità persone con cui non si hanno rapporti da tempo, è molto semplice fare un tuffo nel passato senza preoccuparsi troppo delle conseguenze.
Francesco, il protagonista, si trova in un pomeriggio di settembre a cercare tra i volti di Facebook i suoi compagni di liceo: «il cuore mi sta battendo leggermente più forte, i nomi stanno uscendo da dietro l’armadio impolverati, ma pieni di fascino. Il liceo, l’esperienza più bella e più drammatica della mia vita. So di risvegliare in me avvenimenti che ormai dormivano in silenzio, ma non ne posso fare a meno». Davanti alla foto di Milena, il suo primo amore, inevitabilmente invecchiata, ma ancora bellissima, i ricordi irrompono prepotenti e Francesco, ora rispettabile oncologo sposato e con quattro figli, non può trattenere il desiderio di mettersi in contatto con lei e rivederla.

                            Il ’68: primi amori e contestazione politica
Da questo punto in poi il lettore segue Francesco lungo la strada dei ricordi: perché Milena potrebbe rifiutare di incontrarlo? Cosa cela di tanto drammatico il suo passato? Fin dall’inizio dunque incombe sulla storia un intenso alone di mistero, che l’autrice riesce abilmente a mantenere vivo nel corso di tutta la narrazione. Ci si trova così catapultati nelle aule di un liceo romano tra il ’68 e il ’69, anni di cui si rievocano anche film e musica, quasi lunga colonna sonora per tutto il romanzo. Francesco, e il lettore con lui, rivede Nuccio Resia, compagno di banco e di avventure estive, un ragazzo difficile, profondamente segnato dall’abbandono della madre. Rivede l’arrivo di Milena, trasferitasi da Imperia a Roma con la madre e il fratello, molto silenziosa, ma capace di attirare le attenzioni di tutti i maschi della classe. Nella caratterizzazione di Francesco e degli altri personaggi, l’autrice prende le distanze da qualsiasi stereotipo, mostrandone, con profonda capacità di immedesimazione e verosimiglianza, debolezze, paure e vigliaccheria.
Ovviamente non manca in quegli anni la contestazione politica: Nuccio si avvicina ai gruppi di estrema destra, Milena stringe una relazione con Roberto Menechini, leader dei gruppi di sinistra, che segue politicamente. Ciò che invece caratterizza Francesco è l’incapacità di scegliere, la voglia di lasciare che le cose vadano da sé senza che lui debba agire in qualche modo: un tratto della personalità che nella maturità diventa più acuto, perdendo però quella spontaneità adolescenziale e facendolo quindi apparire agli occhi del lettore ipocrita ed egocentrico.
Dapprima si avvicina alla sinistra per amore di Milena, ma la mancanza di coraggio in un corteo, conclusosi in modo violento, mette in crisi l’amicizia con la ragazza; in seguito, riconsidera le sue priorità e passa al fianco di Nuccio, senza particolare attivismo: «vedendo che il mio simpatizzare non andava oltre determinati atteggiamenti, i più estremisti di destra mi tacciarono di vigliaccheria e di infedeltà. Per cui per parecchio tempo dovetti guardarmi sia dai sinistroidi, che ormai mi avevano bollato come un giuda, che dai destroidi, che mi avevano bollato come un infedele».
Nonostante tutto, Francesco ha l’occasione di strappare un tenero bacio alla ragazza in un pomeriggio di studio. Rifiutato, il ragazzo racconta tutto a Nuccio, il quale metterà in atto una sadica vendetta ai danni di Milena nella palestra della scuola: «Non seppi mai quello che successe dopo, se Nuccio le usò violenza o no, io scappai senza voltarmi indietro, sapendo che avevo perso il sentimento più bello e più puro che un essere umano possa provare».
La fuga di Francesco dalla palestra sancisce la definitiva rottura con i due compagni di classe: il rifiuto di agire e di prendere una posizione anche in una situazione così drammatica e nei confronti di una persona a lui emotivamente legata costituisce un vero tradimento, che il protagonista nasconde nel tempo, ma per cui una banale ricerca su Facebook è in grado di sollevare un senso di rimorso. Leggero però: nonostante la gravità della cosa il protagonista continuerà a credere di essere ancora in tempo per scusarsi e recuperare il grande amore della sua vita, con risvolti inevitabilmente drammatici.

                   Suspense e sovrapposizione di piani
Ecco dunque che dopo una rievocazione dolce e malinconica dell’adolescenza e degli anni ’60 il romanzo assume un ritmo molto più accelerato, trasformandosi in un vero e proprio giallo: cosa è successo nella palestra della scuola dove Francesco ha lasciato soli Milena e Nuccio, scappando via di corsa? Chi ha ucciso Roberto Menechini, l’ormai ex ragazzo di Milena?
L’autrice si dimostra infatti abilissima nel catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine attraverso un’elaborata combinazione di detto e non detto: seguire il flusso dei ricordi del protagonista non basta, Milena è l’unica che sa come sono andate veramente le cose.
Si tratta dunque di un romanzo dalla struttura ricercata e complessa, ma perfettamente ponderata, in cui diversi misteri si incastrano l’uno dentro l’altro con grande maestria: la stessa Milena, prima di trasferirsi a Roma, ha dovuto fare i conti con una dolorosa esperienza, solo implicitamente rievocata nelle pagine del suo diario che interrompono spesso il filo della narrazione principale. Quella precedente esperienza, apparentemente slegata dall’episodio della palestra, collaborerà a minare la sua fragilità e la sua stabilità, inducendola a compiere atti di violenza estrema. L’autrice non lascia dunque nulla al caso, ma ogni spunto è funzionale allo svolgimento della narrazione.
Proprio questo gioco di incastri conferisce al testo un ritmo vivace e ascendente, che non lo rende mai monotono. Anzi: quando sembra che tutto si sia risolto per il meglio e che effettivamente il dolore e il rimorso siano stati cancellati dal tempo, un finale del tutto inaspettato lascia il lettore senza parole, ma piacevolmente stupito dall’abilità narrativa dell’autrice.
L’eccezionalità del romanzo risiede dunque nella straordinaria capacità evocativa dell’autrice, nell’abilità di creare una trama originale e mai scontata e nell’uso perfettamente ponderato di vari strumenti retorici per mantenere alto il livello della suspense, ma non solo: lo stile chiaro e fluido, nonché il lessico semplice, permettono infatti al lettore di procedere senza interruzioni fino alla fine. Il prodotto finale della combinazione di tutti questi elementi è un romanzo avvincente e facilmente godibile dalla prima all’ultima pagina, una lettura tutta d’un fiato che non potrà deludere il lettore.

Simona Leo per Temperamente Libri:

Non si può parlare di un vero e proprio giallo, almeno secondo il mio modesto parere. Non ci sono investigatori e, inizialmente, neanche qualcosa su cui indagare. Buona parte del libro ci inserisce poco a poco nella vita di Francesco, un oncologo, marito di Giulia e padre di tre figli: Luigi, Michele e Amanda. Dopo che il protagonista scopre, attraverso uno dei figli maschi, il mondo virtuale di Facebook decide di recuperare i contatti con i suoi vecchi compagni di classe, o meglio con una compagna di classe, Milena. Da questo momento in poi iniziano una serie di flashback che ci portano indietro nel tempo, offrendoci un ottimo spaccato di quello che fu il ’68, un anno cruciale per la nostra storia, la quale positivamente o negativamente subì una svolta. A poco a poco recuperiamo ogni tassello dell’esistenza di Francesco, che in queste pagine si svolge tra vita presente, e quindi vita coniugale, tradimenti e lavoro, e vita passata, ricostruita attraverso i suoi ricordi: il liceo, le manifestazioni studentesche, le divisioni politiche, l’amore non ricambiato per Milena e il suo senso di colpa. Il tutto diventerà estremamente attuale e a ciò contribuirà il ritorno, nella sua vita, di quella ragazza, ora donna matura, che non ha mai smesso di amare. Solo nelle ultime pagine, infatti, si sviluppa un giallo, che ricollega il passato al presente e che si conclude con un finale crudo e inaspettato, e che, tuttavia, non prevede indagini o la presenza di un investigatore.

La storia procede lentamente nella prima parte, arricchendo di volta in volta l’immagine di Francesco, e, inciampando qua e là in refusi e piccole sviste, subisce un’accelerata sul finale, dove tutto si svela velocemente. È forse questa la parte più riuscita, dove ai sentimenti di repulsione verso un mondo maschile traditore e vigliacco si contrappone un ritmo incalzante animato da ansia e terrore, dovuti a una giustizia raggiunta ‘ingiustamente’ e in modo del tutto privato.

Livia Frigiotti per Anobi:

Libro particolare. Si tratta di un lungo racconto in prima persona. Un giallo segnato dalla storia vera e vissuta della contestazione studentesca del ’68. Era difficile essere studenti in quel periodo e soprattutto era difficile rimanere impassibili senza schierarsi di fronte agli eventi e al vento di cambiamento; cambiamento a volte troppo violento per essere sostenuto, riconosciuto, vissuto e portato dentro in quello che è stato il futuro di quegli studenti. Un liceo classico di Roma (strano tra le righe per me, riconoscere lo stesso liceo dei  miei studi tanti anni dopo), la feroce contestazione, i gruppi politicizzati (destra, sinistra) i comitati, gli assembramenti, le risse, gli omicidi politici. Ma in tutto questo i personaggi principali vivono ore difficili e concitate che segneranno per sempre le loro esistenze future. Ma il personaggio principale a suo modo subisce gli eventi, con i suoi sentimenti  subisce le forti personalità di chi lo circonda. Questo non gioca a suo favore e non lo farà crescere e maturare, piuttosto lo renderà sempre piuttosto disattento e ingenuo. Figli di famiglie troppo chiuse o già scardinate dalla vita, contestano il sistema e la famiglia stessa con quella educazione chiusa che non segue il vento di cambiamento. Ma l’interiore rabbia del ’68, in questo racconto,  creerà un mostro ben più grande che si paleserà con tutto il suo odio e la sua più estrema e premeditata ferocia. Tutta la storia è attraversata da un omicidio ma tra le righe si nascondono anche altri delitti più o meno aberranti e biechi.
C’è un finale del tutto a sorpresa dopo alcune pagine che danno una netta pausa che quasi non lo fa sembrare più un giallo. Il finale lo farà diventare un thriller spiegando il centro del racconto ma a mio modo di vedere, data la fantasia e la voglia di scrivere dell’Alibrandi, è un finale aperto che potrebbe anche voler avere un seguito e perché no, aprire a un nuovo filone investigativo. Lettura piacevole e accattivante proprio per le sue variazioni sul tema.

Alessandro Colò per Orthodik:

Facciamo una premessa, ciò che mi aveva attratto di questo libro era stata la quarta di copertina che riportava le testuali parole: “Il racconto offre un appassionante, fedele e nostalgico spaccato della vita italiana durante i grandi avvenimenti e mutamenti sociali e politici che segnarono in modo indelebile un’intera generazione, quella del ’68”, invece probabilmente è proprio questo il limite più grande del racconto… Ma andiamo per gradi.
Il romanzo prende il via dalla descrizione della quotidianità di un affermato oncologo romano che casualmente, e grazie al figlio “smanettone”, entra in contatto tramite Facebook con il proprio passato e con un amore a tratti morboso mai realmente sopito nel tempo. Da qui partono una serie di flashback che ci catapultano alla fine degli anni sessanta, periodo in cui il futuro medico frequentava i primi anni del liceo e veniva chiamato Dustin, per la somiglianza con l’attore americano a quel tempo sulla cresta dell’onda (e già qui si sente quel sapore un po’ forzato della ricostruzione del tempo che fu). L’amicizia al tempo faceva gioiosamente convivere il nostro Dustin tendenzialmente di sinistra (non per scelta ma per essere vicino alla ragazza dei suoi sogni, Milena, che naturalmente gli preferiva il bel capopopolo organizzatore delle manifestazioni) e Nuccio, suo compagno di banco e di scorribande, benestante proto-estremista di destra.
La serenità del presente del professore, fatto da una stabile amante e da una quieta moglie oltre che da una famiglia affettuosa, viene quindi irrimediabilmente turbata dal passato e dal desiderio di chiudere il cerchio affettivo che lo lega ancora alla bella Milena e ad alcuni fatti tragici e violenti su cui non è mai stata fatta chiarezza.
Questa in “soldoni” la trama, che come dicevo trova il suo freno maggiore nelle ambientazioni del passato, in cui viene presentato un ’68 a tratti stereotipato e a tratti malinconico dove non si respira l’aria fatta di grandi sogni, grandi speranze e grandi ideali ma anzi, in alcuni passaggi, sembra quasi che si voglia racchiudere il tutto negli episodi di violenza fini a se stessi.
Il meglio del romanzo invece ci viene dalla grande padronanza di scrittura dell’autrice Daniela Alibrandi che risulta, in alcuni passaggi descrittivi soprattutto di luoghi e paesaggi (le vicende si dipanano in una Roma inconsueta, disegnata con maestria e passione, una maestria e una passione che sembrano venire da chi certi posti li ha vissuti intensamente), scrittrice di valore potenzialmente enorme.
La trama gialla, a differenza delle vicende affettive, è decisamente ben costruita il che rende la lettura, maggiormente nella seconda parte del romanzo, godibile e ricca di pathos.
Quindi in conclusione un consiglio ai lettori, superate quelle parti che possono avere un sapore un po’ artefatto e quelle che rischiano di sfociare nell’harmonyzzazione del racconto perché superata la collina la strada è in discesa e vale la pena percorrerla. Vi garantisco che a bilanciare il tutto ci sono anche alcuni momenti pulp da non perdere.

La Giornalista Silvia Sciamplicotti:

Milena e Francesco ..o Francesco e Milena un grande amore dei banchi della scuola….si rincontrano in uno dei modi piu’ moderni dei nostri tempi un potente social network .facebook…e si ritroveranno con le loro gia’ arredate stanze  della vita con i mobli al proprio posto…con annessi e connessi di una solita routine quotidiana,,questo racconto ci porta per mano attraverso lo sguardo maschile di Francesco in un passato 68, in un amore che sembrava dimenticato …attraverso la scrittrice questo testo ne e’ trattato in modo che la sua scorrevolezza letteraria trascina chi si addentra in questa avventura a vivere o rivivere in prima persona attimi di grandi avvenimenti storici del paese e allo stesso tempo un contenuto ricco di sentimenti passioni e segnali di un’ epoca che ha scritto la nostra storia..ma attenzione non tutto quello che si legge al principio e’ come sembra ..infatti  la trama e i suoi personaggi si troveranno in un crescendo di emozioni quasi visive che sfoceranno in un finale assolutamente sorprendente e inaspettato.tutto passa attraverso le musiche che hanno segnato un’ epoca…simon e garfunkel..i beatles…ma anche battisti morandi…..chiunque abbia vissuto quel periodo non puo’ esimersi dal leggere questa meraviglia e chi invece non ne ha la consapevolezza trovera’ in questo thriller una descrizione piacevolissima ambientale e passionale. Chi di noi non ha avuto qualcosa che avrebbe voluto ritrovare dentro di se..aprendo magari uno sportello del cuore.

La Scrittrice Giulia Madonna:

Il romanzo”Nessun segno sulla neve” di Daniela Alibrandi narra  la vicenda di un oncologo di mezza età che, provenendo da una famiglia umile, ha fatto mille sforzi per arrivare al suo successo, e tra gli sforzi c’è stato anche il suo matrimonio sereno ma senza amore, riuscendo a barcamenarsi, tra mille bugie, lavoro, famiglia e i frequenti tradimenti, fatti ripetutamente per sentirsi ancora vivo. Improvvisamente, introdotto a  face book grazie al figlio per gioco,  vive un’intensa  crisi di mezza età per il ritorno nei suoi pensieri di una ragazza amata  tristemente da ragazzo. Il suo tormento lo porta ad isolarsi nel suo studio e rivivere i ricordi del passato in cui ha vissuto in prima persona le rivolte del ’68.

L’ autrice ricorre spesso all’uso del flashback che si alterna al racconto fatto tutto in prima persona, appunto dalla parte di Francesco, ed abilmente viene descritto il punto vi vista del protagonista che alterna le sue sensazioni del presente con le immense emozioni provocate dai ricordi del passato. L’autrice offre un piacevole spaccato degli anni della protesta giovanile e ci fa capire come i ragazzi allora vivessero intensamente quei giorni spinti da grandi ideali ma che poi tutto pian piano sfociò solo nella violenza sterile e pericolosa. Infatti la protesta ben presto  portò a scontri continui tra fazioni opposte e forze dell’ordine fino a sfociare nell’orrendo omicidio, che rimase impunito,  di uno dei ragazzi più attivi. L’ondata improvvisa e devastane dei ricordi scombussolano completamente il castello di fragili vetri che il protagonista ha imbastito  nella sua vita e comincia a non riuscire più a reggere il gioco. Cerca in tutti i modi di difendere la sua tranquillità ma i ricordi e gli antichi sogni prendono il sopravvento. Tutto va in tilt quando tramite face book riesce a  ricontattare la giovane amata. L’amore prende il sopravvento tra i due e a quel punto il protagonista, sentendosi finalmente vivo e realizzando il suo antico sogno, decide che metterà fine alla farsa del suo matrimonio. Ma un finale mozzafiato quanto improvviso e inaspettato scombussola totalmente tutte le  facili previsioni lasciando a bocca  aperta il lettore.

L’autrice ha saputo mettersi abilmente nei panni del protagonista e accompagnarci nei meandri del suo profondo tormento e nel suo continuo tentativo di essere fedele alla sua parte di buon marito, padre e professionista, senza però riuscire a reggere più un gioco stanco di fronte al profumo inebriante dell’amore. Lo stile è fluido e scorrevole, l’attenzione e il pathos non vengono mai meno lasciando il lettore avvinto alla narrazione fino in fondo. La scelta del finale improvviso e inaspettato lascia il lettore senza fiato e lo porta a riflettere se sia davvero il caso di mettere i propri valori a repentaglio solo per il gusto di sentire ancora i brividi lungo la schiena.

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