Non è lontano il futuro nel quale gli anziani…
LA GENERAZIONE MANCANTE
Una giornata di sole come non se ne vedevano da tempo nella vallata. Finalmente un vero accenno alla primavera dopo i vani tentativi di un sole stanco. Era il sedicesimo quarto del 2089. Roberto si era alzato presto, la riunione sarebbe iniziata di prima mattina e lui avrebbe dovuto concludere la fusione della Ditta da lui amministrata in Eurasia con quella gemella di Oltreoceano. Lui sentiva però nell’aria qualcosa di strano, che lo infastidiva, lo avvertiva anche ora che inspirava con gusto quell’aria mite. Nonostante ciò, il sole lo stava mettendo di buon umore e, ancor più, lo avevano rallegrato i tanti auguri giunti per il suo compleanno. Aveva iniziato la banca a farglieli, imprimendoli nel display delle transazioni online, poi gli si erano materializzati sullo schermo virtuale e tridimensionale, che occupava una parete dell’ampio salone di casa. Li aveva perfino letti sull’ordine telematico degli alimenti per la cena e, insomma, dovunque si fosse trovato a utilizzare il suo cartellino magnetico. Quel pass par tout, rigido e di un colore rosso vermiglio, gli era stato assegnato alla nascita e aveva accompagnato tutta la sua crescita, perfino l’entrata a scuola, in chiesa e nelle discoteche. Era stata la sua garanzia di appartenenza alla società che si era creata dopo l’Avvento dei Giovani. Le strade, delimitate da campi magnetici, registravano la sua entrata nel proprio settore, perfino i centri commerciali gli spalancavano le porte scansionandone gli estremi e, grazie ad esso, lui non aveva mai incontrato difficoltà. La nuova società, con le sue ferree regole e la sua capillare organizzazione, rappresentava un’indiscutibile certezza. I giardini, perfettamente curati e di dimensioni precise, sfoggiavano tutti la stessa piacevole gamma di colori, il ciclo dell’immondizia era strutturalmente diversificato e i rifiuti riutilizzati, le strade terse e senza tracce di rifiuti organici. Nella nuova dinamica sociale ognuno aveva la sua giusta collocazione, esattamente come tutto ciò che lo circondava. Senza contare che gli imprevisti erano stati quasi azzerati e perfino i fenomeni naturali, per quanto estremi, riuscivano a essere governati. Insomma, dopo l’Avvento tutto aveva ritrovato il proprio ordine. E ora lui, alla soglia del suo sesto decennio, sapeva che sarebbe finalmente entrato nella fase del miglioramento, una nuova e sconosciuta dimensione dove erano transitati coloro che lo avevano preceduto. Sarebbe stata una sorta di Nirvana, così dicevano le nuove scritture. Nei micro cip di storia veniva descritto dettagliatamente il fallimento della società degli anziani, ciò che aveva preceduto il nuovo assetto. E la vecchia società, caotica, sporca e inefficiente era ormai un lugubre ricordo che l’umanità doveva solo aborrire. Lui, come tutti, conosceva una famiglia collettiva, composta da persone giovani, che lo avevano cresciuto e formato fino a farlo divenire manager della Ditta. Pigiò, come tutte le mattine, il suo cartellino rosso sulla costola sottostante il muscolo pettorale sinistro, dove sarebbe rimasto per l’intera giornata, calamitato dal micro cip inserito sotto pelle, contenente i suoi dati. Aveva dimenticato pochissime volte di compiere quel gesto, ma ciò che ne era conseguito aveva fatto sì che divenisse per lui un’azione normale, come il fatto di respirare. Si era trovato infatti impossibilitato anche ad accedere al suo stesso bagno, così come alla cucina o alla piscina coperta dove, anche oggi, avrebbe fatto una corroborante nuotata.
E dopo la consueta immersione si preparò per andare al lavoro. Quella sarebbe stata una giornata storica per l’economia mondiale e la sera lui avrebbe festeggiato andando a fare una visita nella vicina Città del Sesso. Gli piaceva ogni tanto recarsi in quella sorta di villaggio pulito e controllato, che si ergeva non lontano dalla grande metropoli, dove si poteva sfogare con naturalezza qualsiasi istinto. Sorrise pensando a come vi si sarebbe divertito e rilassato e, mentre si spalmava il dopobarba, avvicinandosi allo specchio che ingrandiva i particolari del suo volto, non volle far caso alle piccole e incipienti rughe attorno agli occhi. Canticchiando, diede un colpetto di spazzola ai capelli leggermente brizzolati, preoccupandosi solamente di vestirsi in fretta. Mancava poco all’arrivo della sua auto. Scese al piano sottostante per bere la colazione calda che trovava puntualmente ogni mattina, così come previsto dal suo piano alimentare, preparata dalla cuoca e cameriera messa a sua disposizione dalla Ditta. Con sua enorme sorpresa non trovò la giovane donna alta, capelli rossi e braccia energiche e, ancor peggio, non c’era neanche la colazione. Irritato per quello che era il primo ritardo in tre anni di servizio della donna, si avvicinò al piano di cottura per scaldare un po’di caffè, ma anche questo sembrava non rispondere ai suoi comandi. Non partiva neanche l’energia suppletiva prevista in quei casi. <<Ma cosa diavolo sta accadendo?>> si chiese, infastidito dai contrattempi a cui non era abituato e tanto meno preparato. Guardò l’ora. Mancavano quindici minuti alle otto. Ormai l’autista doveva essere arrivato. Pensò che avrebbe chiarito tutto al ritorno e si avvicinò alla porta d’ingresso, prendendo la valigetta nera contenente il computer e alcuni documenti.
Uscì e l’aria dolce della primavera, carica dell’essenza di fiori nuovi, invase le sue narici e tutto il suo essere, facendogli dimenticare i noiosi inconvenienti. Respirò a pieni polmoni e tornò a considerare, soddisfatto, che quello era un grande giorno. Volse lo sguardo alla strada sicuro di trovarvi l’auto ad attenderlo, ma non c’era nessuno. Era troppo. Prese il cellulare e una voce sibilò nel suo orecchio “Auguri di buon compleanno!” clak. Niente più, solo l’insolito vhuu di una linea sconnessa. La sua mano andò meccanicamente a cercare il cartellino rosso, che stava come sempre al suo posto. In tutta la sua vita non gli era mai capitato quello che stava avvenendo quel giorno. Poggiò in terra la valigetta e vi si sedette sopra. Portò le mani alla testa e affondò le dita tra i capelli. Improvvisa la visione di un’auto scura e veloce, priva dei contrassegni della Ditta, attirò la sua attenzione. Dalla vettura scesero due giovani, che indossavano le divise dell’Autorità Interna e si dirigevano verso di lui, sorridendo.
“La società dell’Avvento le augura buon compleanno!” Roberto sorrise, forse era tutto uno scherzo, messo in atto per fargli una sorpresa. I due uomini, della medesima altezza, indossavano lo stesso modello di occhiali da sole e sfoggiavano un identico taglio di capelli, uno biondo e l’altro castano. Si avvicinarono.
“Ci può favorire il cartellino rosso?” Roberto li guardò esterrefatto. In vita sua non se ne era separato neanche un attimo.
“No, perché mai?” rispose indignato.
“Non si preoccupi, fa solo parte delle procedure di transizione!” disse il biondo. Roberto pensò che fosse meglio accondiscendere alle loro richieste, soprattutto perché si stava facendo tardi.
“Eccolo” disse seccato, staccandolo dalla pelle che ricopriva il suo costato. Il biondo lo passò al moro, che lo inserì in un contenitore, dal quale ne tirò fuori uno identico, ma nero.
“Da oggi in poi dovrà utilizzare questo, esattamente come ha fatto con il rosso”.
“Ma…” tentò di ribattere Roberto.
“Non c’è nulla da aggiungere, proprio come ha utilizzato finora il rosso. E buon proseguimento!” gli dissero all’unisono i due mentre, sorridendo, velocemente tornavano all’auto. La vettura scomparve in breve all’orizzonte.
“Ma…” tornò a dire Roberto sottovoce, rivolto alla strada deserta, che come una lingua scura scendeva verso la vallata. Tutto ciò aveva dell’incredibile, pensò, mentre posizionava il cartellino nero dove fino a poco prima pendeva quello rosso. Doveva cercare di contattare la Ditta, ci sarebbe stata una spiegazione plausibile. Cercò di rientrare in casa, ma l’uscio non si aprì. Roberto iniziò a ridere nervosamente, si sedette sui gradini e accese il computer, si sarebbe messo in contatto con la sua segretaria. Sul desktop risaltava un grandissimo augurio di buon compleanno, ma non esistevano più i suoi file e non c’era alcun tipo di collegamento. Stupefatto iniziò a sudare, si allentò il nodo della cravatta. La giornata iniziava a essere maledettamente calda, e quel sole che tanto lo aveva rallegrato ora stava rendendo lo scenario addirittura ossessivo. Lasciò la valigetta con il computer sul ciglio della strada, si tolse la giacca, la ripiegò sull’avambraccio e iniziò a camminare.
Finalmente la città, con le sue vie terse e ordinate, attraversate da veicoli a lui familiari. Tutto riprendeva il giusto spessore e lui godeva nel vedere il traffico silenzioso e ben pianificato. Venne colto dal profumo dell’aria cittadina, dove innumerevoli vite correvano senza fare rumore e producevano quel benessere comune a cui anche lui tanto aveva dedicato della sua esistenza. Raggiunse il punto di trasporto dove una serie di autovetture attendevano solamente l’arrivo del passeggero. Le osservò compiaciuto. Erano automobili piccole di dimensioni le cui ruote, dallo pneumatico sottile e con un ampio cerchione sgargiante, davano un tocco di eleganza. Tutte, anche se ognuna di colore diverso, possedevano il lunotto posteriore dal design leggermente ricurvo, che scendeva verso una targa fosforescente, i cui numeri e lettere cambiavano ogni trenta secondi. La numerazione si sarebbe fermata solo quando il passeggero avesse sfiorato la portiera dell’auto, facendo così scansionare il suo cartellino. Roberto si stava finalmente rilassando, gli sembravano già lontani tutti gli imprevisti che avevano caratterizzato il suo risveglio. Volle notare, quasi ipnotizzato, il susseguirsi degli elementi identificativi delle targhe XA23981, WZ956N0, YCDEV762. Ogni trenta secondi esse mutavano aspetto e colore e lui provò qualcosa di molto simile a un capogiro. Decise di salire sulla macchina di colore grigio che aveva di fronte. Si avvicinò alla portiera, ma il meccanismo informatico non riconobbe il suo cartellino. Di nuovo tornava l’incubo.
Preso da una frenesia incontenibile si portò verso gli sportelli delle altre vetture. Niente, nessuna si apriva al suo contatto. L’ultima, nera di colore, invece, emise il suono di aria compressa che faceva scattare la serratura. Prima di salire Roberto volle sincerarsi che anche i numeri della targa si fossero bloccati e così era, AWXF43521. Salì, finalmente confortato, nell’accogliente abitacolo, e si sedette sul divanetto in pelle che, con la sua forma di comodo semicerchio, prendeva quasi la totalità dello spazio interno. L’autovettura, munita di motore elettrico e senza conducente, disponeva anche di una cloche a mezzaluna e di un sedile anatomico, che garantivano la possibilità del passaggio ai comandi manuali in caso di necessità. Sul video del cruscotto si materializzò la scritta “Buon Compleanno!” e una voce metallica esortò Roberto a impostare l’indirizzo di destinazione sulla tastiera che, salendo contemporaneamente dal pavimento, si era già posizionata alla sua destra. Mentre una cintura di sicurezza avvolgeva automaticamente il suo torace, lui sorrideva, pensando che la procedura di transazione era costellata di sollecitazioni particolari. Senza indugio impostò l’indirizzo della Ditta e l’auto iniziò il suo percorso. Era tanto tempo che Roberto non si serviva del trasporto urbano e gli stava piacendo molto vedere l’efficienza e l’eleganza dei particolari meccanismi di cui l’autovettura era dotata. La tastiera con l’indirizzo era sparita velocemente e, al suo posto, si era materializzato un contenitore di acqua. Lui bevve di cuore, anche se la climatizzazione dell’auto non gli faceva più soffrire la calura esterna. Fuori dai finestrini oscurati scorrevano gli edifici e il paesaggio della sua città, mentre il suo viaggio continuava in quell’involucro morbido e ovattato.
Il computer di bordo materializzava sul display la distanza rimanente per giungere a destinazione e il tempo necessario per percorrerla, la temperatura esterna e quella interna e le previsioni meteorologiche per le successive ore. Quando tutto sembrava ormai rientrato nella normalità, Roberto si accorse che non appariva più l’indirizzo della Ditta come destinazione del suo viaggio. Anzi sul monitor si susseguivano scritte a lui incomprensibili. Guardò spaventato fuori dal finestrino e si accorse che il paesaggio esterno stava rapidamente cambiando, mentre lui non riconosceva più i luoghi che, veloci, sfrecciavano davanti ai suoi occhi esterrefatti. L’auto si fermò e il meccanismo ad aria compressa aprì la portiera. Sul monitor apparve la scritta Benvenuti a destinazione e la cintura di sicurezza liberò il suo corpo. Roberto si gettò sul pulsante che permetteva il passaggio ai comandi manuali, ma sul video apparve il messaggio Accesso Negato, Accesso Negato, che continuò a ripetersi finché lui non poté fare altro che scendere. L’auto richiuse lo sportello e corse via velocemente.
Si trovava fuori dalla città, ai limiti della foresta che attorniava l’agglomerato urbano. Una brezza sottile muoveva dolcemente le chiome degli alberi e lui notò, all’imbocco della strada sterrata, un interminabile tapis roulant, che fendeva come una lenta spada il costato della selva. Vi salì, non sapendo più quale sarebbe stata la sua reale meta. L’odore rorido del sottobosco lo avvolse, accogliendolo. Alla fine, si trovò a deambulare per un sentiero sterrato. Ormai era quasi sera e anche la terra che lui calpestava pesantemente emanava un odore umido. Vide in lontananza dei fuochi e vi si diresse, senza un perché. Nell’avvicinarsi incontrava delle figure sconosciute. I loro tratti umani risultavano molto diversi da quelli a lui noti. Capelli canuti, sguardo perso nel vuoto, solchi scavati in volto. Si sedette vicino al fuoco, era esausto. La donna di fronte a lui, la cui magrezza era messa in risalto dai lunghi capelli bianchi, penetrava con il suo sguardo chiaro le alte lingue della fiamma.
“Dove mi trovo?” le chiese con tono implorante. Lei sorrise, si alzò e gli si sedette vicino.
“Hai fame?” La sua voce era dolce e melodiosa, ma ciò non leniva la sua disperazione.
“No, non ho fame, non ho sete, voglio solamente sapere dove mi trovo!” La donna gli carezzò i capelli.
“Sei tra noi, non sapevi che esistevamo vero?” Roberto la guardò meravigliato e chiese ancora:
“Ma chi siete voi?” Il tono che aveva usato era quasi schifato e rabbioso, ma la donna sorrise indulgente.
“Siamo gli anziani o, se preferisci, i vecchi”. Roberto la fissò con le pupille dilatate. Non poteva essere, quelli di cui la donna stava parlando avevano fallito e la società si era liberata di loro già da molto, moltissimo tempo.
“Cosa mi stai dicendo, vecchia!” esclamò, sottraendosi alla sua carezza. Senza modificare il tono di voce, la donna continuò:
“Non mi credi, vero? Ma guardati attorno, vedi più niente che ti sia familiare?”
Roberto volse lo sguardo in giro. Era vero, non riconosceva quel mondo. Si sentiva sfinito e la donna gli fece poggiare la testa sulla sua spalla mentre, continuando a parlare, riusciva di nuovo a carezzargli i capelli.
“Vedi, noi siamo la generazione mancante”. Roberto, incantato da quella voce, seguì con inspiegabile fiducia il suo racconto. “La generazione che è stata soppressa per il bene dell’umanità”
“Com’è possibile?” Chiese lui. La donna sorrise amaramente e andò avanti:
“Giunse un tempo nel quale i sistemi previdenziali saltarono e gli anziani dovettero lavorare fino alla morte. I giovani, condannati a lavori sempre più insicuri, se poi riuscivano a trovarne, e nell’impossibilità di progettare la loro vita futura, vedevano i vecchi occupare non solo il mondo lavorativo, ma anche tutti i posti di potere. E la scienza utilizzata per garantire loro una sempre maggiore aspettativa di vita. Gli anziani governanti non capirono in tempo quale frattura sociale si stesse creando e gestirono il potere senza saggezza, facendo sempre maggiori danni, con la sola preoccupazione di non dar spazio a quella generazione. La collera di quei ragazzi crebbe e con rabbia essi si organizzarono in incontenibili rivolte di massa. Accadde l’imprevedibile. Le due generazioni si scontrarono selvaggiamente e le città si riempirono di morti. Una guerra lacerante, le cui conseguenze furono inimmaginabili. La nuova generazione ebbe la meglio e ciò che seguì fu una spietata caccia all’anziano. Per le strade, nei quartieri e, dovunque ne trovassero uno, le esecuzioni erano immediate, plateali. Non vi fu neanche la pietà dei figli verso i padri, era ormai solo una questione di sopravvivenza. Una volta preso il potere, i giovani misero in campo tutte le loro energie e potenzialità, e riuscirono a creare una società organizzata diversamente, finalmente ordinata e funzionale, cercando soprattutto di non ripercorrere gli errori che erano stati fin lì compiuti. Tutto, ogni singola azione venne programmata e controllata con la creazione di reti informatiche sempre più capillari e sofisticate, sai i giovani ci sapevano fare con i computer! I vecchi, invece, furono quelli che pagarono lo scotto maggiore, all’inizio eliminati, poi spinti ai limiti della società, resi invisibili e infine dotati del cartellino nero”.
La mano di Roberto andò meccanicamente al suo costato. Lei gli sorrise consapevolmente e gli domandò:
“Anche tu ne hai uno, vero?” Roberto la guardava incredulo. Nella sua civiltà non esisteva il termine vecchio. I deputati del suo Parlamento avevano meno di trent’anni, così come il Sommo Pontefice, che ne aveva compiuti da poco ventisette. Di cosa stava parlando quella donna?
“Cosa stai dicendo, vecchia! La vostra società ha fallito, ce lo hanno insegnato, sai! Non siete riusciti in niente! Gli alimenti ormai erano veleni e l’immondizia non veniva più raccolta. Nelle città la gente poteva respirare solo con l’aiuto di maschere filtranti e la corruzione era divenuta la vostra regola. Siete perfino riusciti a distruggere l’equilibrio naturale, avete disboscato le foreste e avvelenato il mare! Quello sì che è stato il vero massacro. La vostra società aveva fallitooo!” le gridò con veemenza. Lei lo guardò impassibile.
“Può darsi ma, insieme a questo sfacelo, noi possedevamo dei valori insostituibili. La conosci tu la vera passione, hai mai provato il calore della famiglia, con i nonni che raccontano le favole ai nipotini, sai cosa sia un nonno?” No, Roberto non lo sapeva, Iniziò a sentire dei brividi, la notte si preannunciava fredda e lui si stava sentendo perso in un mondo di vecchi, che non credeva esistesse. La donna continuava a parlare:
“Molti di noi tentano a volte di prendere il mare a bordo di zattere, poiché si dice che nell’Oltre Mediterraneo esistano ancora delle società tribali rispettose degli anziani, che li accettano e li venerano perfino, ma nessuno mai è tornato per rassicurare gli altri che ciò sia vero. Anzi, a volte le onde hanno riportato a riva i loro cadaveri!”
Roberto era in preda a un delirio mentale, che non gli lasciava alcuna lucidità e si guardò attorno. Il sentimento nuovo che stava nascendo in lui lo stupì. Era una grande, incommensurabile pena. Molti individui si scaldavano attorno ai fuochi, chi tossiva, chi si asciugava gli occhi, per le lacrime dovute forse all’invecchiamento delle loro cornee. Tutti però cercavano di incoraggiarlo, sorridendogli. Nei loro sguardi non c’era automazione, ma esperienza, il loro sorriso non trasmetteva soddisfazione, ma consapevolezza. Dai loro movimenti goffi e lenti, così lontani da quelli veloci ed efficienti a cui lui era abituato, traspariva un’immensa, abissale amarezza. Un uomo dalle mani rugose, le cui vene sembravano schizzare fuori dalla pelle raggrinzita e macchiata, gli porse una ciotola con dell’acqua e Roberto bevve avidamente. Il suo sguardo andò al quadrante del suo orologio, che lo informava costantemente dei valori vitali, compresa l’idratazione delle sue cellule, ma ora vi si leggeva solo una scritta fosforescente: Buon compleanno! Stordito tornò a poggiare il capo sul seno della vecchia e si addormentò al ritmo del suo cuore. L’odore di quella pelle era diverso e sapeva di fiori e di antico, quella scorza ruvida e solcata emanava un inebriante calore, nascondendo un’intima e accogliente morbidezza. E lui liberò la mente in un mondo onirico, che confondeva la luce con le tenebre. Vide chiaro, come illuminato da un lampo, il sottile confine esistente tra ragione e follia. Anche lui ora sarebbe dovuto sparire alla vista dei giovani, senza possibilità d’appello. Ci sarebbe stata sempre una generazione mancante per pareggiare quel disumano conto. Sognò della sua realtà, di se stesso, ora vecchio confuso in mezzo ai vecchi. E provò una immensa angoscia per quella società di giovani, priva dei valori che forse non avrebbe più potuto assaporare. Lui ora ne conosceva il significato e il valore. Ne era stato appena avvolto e già sentiva di non poterne fare più a meno.
Alla fine non furono neanche più i sogni ad agitarlo e cadde in un sonno profondo, al ritmo del cuore antico che sentiva battere vicino a lui.
E mai risveglio fu più dolce per Roberto. A destarlo furono il cinguettio degli uccelli e i tiepidi raggi di un sole nuovo. Era rimasto stretto al corpo della vecchia per tutta la notte e, al contrario di ciò che aveva temuto, non aveva sofferto il freddo, accanto al fuoco che ancora ardeva lì vicino. L’odore di fresca rugiada e di corteccia umida invase le sue narici, infondendogli una forza sconosciuta e inaspettata. La vecchia era già sveglia e, mentre lui scrutava i dintorni, lei lo osservava curiosa, come se aspettasse qualcosa dai suoi gesti e dal suo sguardo. Alla luce del sole non le sembrava più che appartenesse all’uomo perso che aveva addirittura rifiutato le sue carezze la sera precedente.
Lì intorno dormivano gli anziani, chi su giacigli di fortuna, chi sotto improvvisati ripari, attorcigliati a coperte annose, che sembravano essere tessute con l’amarezza del loro percorso. Colpi di tosse giungevano come portati da eco lontane. E lui per la prima volta in vita sua sentiva di avere una scelta, di poter decidere del suo destino che, adesso, non era più preordinato e finalmente non doveva rispondere a regole precise e rigide.
Si alzò e stirò le membra, accorgendosi che all’orizzonte di intravedeva una striscia di mare azzurro. Già si imbastiva l’eterno dialogo tra le onde e la miriade di gabbiani, che disegnavano voli festosi nei colori pastello dell’alba. Roberto provò un brivido intimo, profondo, e capì che adesso dipendeva solo da lui. Molti di quei vecchi si stavano svegliando e tutti lo guardavano come se gli stessero silenziosamente chiedendo un segnale, un impulso.
Si avvicinò al fuoco e lo ravvivò, poi staccò dal suo costato il cartellino nero e ve lo gettò. Le fiamme si levarono e sembravano anch’esse felici di annientare quel simbolo odioso. Uno dopo l’altro le donne e gli uomini dai capelli bianchi, dalla pelle rugosa e dal respiro affannoso si avvicinarono al fuoco e vi scaraventarono, chi con rabbia e chi con rassegnazione, il cartellino nero. Il crepitio delle lingue di fuoco sembrò un tripudio e, senza parlare, i vecchi raccolsero da terra le poche cose che continuavano ad essere importanti per loro, un indumento, una foto, qualche oggetto.
Tutti lo osservavano e Roberto vide nei loro occhi la fiera determinazione che tornava ad animarli. Porse il braccio alla vecchia addosso alla quale aveva trascorso la notte e si incamminò verso il tapis roulant che l’aveva trasportato fino a lì il giorno precedente. Il meccanismo adesso era fermo, programmato per muoversi in un’unica direzione, non ipotizzando che avrebbe potuto essere utilizzato addirittura per tornare.
E Roberto provava un’eccitazione nuova, il mondo stava per riscoprire i valori essenziali alla crescita del genere umano. Finiva lì il conto disumano che, per pareggiare, aveva avuto necessità di cancellare almeno una generazione. Lui ora sapeva che i giovani avrebbero compreso ciò che finora non avevano capito e cioè che senza gli anziani sarebbe sempre mancata l’altra metà dell’universo profondo che plasma i sentimenti umani.
Non c’era timore, ma solo voglia di tornare in quella folla che ordinatamente camminava ora, percorrendo a ritroso quel crudele percorso. Le loro figure colpite dalla forza del sole nascente erano più solide e ben definite, anche se lasciavano sulla terra umida ombre sempre più lunghe ed evanescenti.
Daniela Alibrandi
* * *
Questo racconto è stato pubblicato da un mensile della RAI, dal settimanale L’Ortica del Venerdì, inserito nell’antologia “Mezzaluna”, pubblicata da Veledicarta insieme ai racconti scelti dal cantautore Eugenio Finardi. Il racconto fa parte dell’antologia “I Doni della Mente”, tradotta nell’edizione inglese “Echoes of the soul”, disponibile ai seguenti link di Amazon e Kobo Mondadori.
https://www.kobo.com/it/it/ebook/i-doni-della-mente
https://www.amazon.it/DONI-DELLA-MENTE-Racconti-Pensieri/dp/1521363919