ARTICOLI LIBERA-MENTE, Interviste, LE NEWS

La sfera sessuale e il Covid… una bella intervista


Una bella esperienza la diretta di Orticaweb a cui ho partecipato insieme alla sessuologa Elena Botti. Il Covid ha trasformato le nostre abitudini e la sfera sessuale. Nei miei romanzi ho affrontato spesso e con varie sfumature l’argomento del sesso, ma come viverlo in un contesto come quello attuale?

“Del resto chiusi in casa, probabili vittime di un nemico invisibile e sconosciuto, con la totale incertezza del domani… direi che ci sono tutti gli elementi tensivi di un buon thriller, una situazione limite che può risvegliare qualcosa anche nella sfera sessuale” 

Questo slideshow richiede JavaScript.

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, I Miei Racconti, LE NEWS

Anziani, una generazione condannata o semplicemente sfortunata?


Gli anziani sono scomodi, diciamoci la verità. Colpevoli di aver determinato l’innalzamento dell’aspettativa di vita, fardelli della società che sottraggono energie e risorse ai giovani a cui non sono riusciti a fornire un futuro sereno, o almeno programmabile. Con le loro pensioni, senza voler tirare in ballo quelle d’oro, o il lungo permanere nei posti di lavoro hanno davvero stancato. E non fa eccezione quello che sta avvenendo in conseguenza del Coronavirus. Sempre loro, gli anziani, che vanno a occupare le sale di rianimazione, cercano ancora di respirare, dopo lo sfacelo che hanno creato.

Non vi scandalizzate leggendo queste poche righe, perchè, portato all’eccesso, questo è il messaggio sublimale che viene raccolto dalle tante dichiarazioni incaute che, involontariamente, vengono trasmesse in modo scriteriato. Da tempo si è compreso che è molto più facile addossare a una generazione le colpe di chi per decenni ha legiferato senza tenere d’occhio il bene comune, in modo egoistico e privo di ogni lungimiranza. Adesso è facile puntare il dito contro chi dà fastidio per il solo fatto di esistere e percepire una pensione, visto che in tutte le salse è stato insinuato che, a causa loro, i giovani non avranno di che vivere.

E ora, quanta attenzione alla salute degli anziani! Sembra addirittura di capire che questo virus sia selettivo, mentre si dovrebbe dire una volta per tutte che si tratta di una particella infettiva capace di uccidere tutti, a qualsiasi età. Con messaggi errati, molti giovani si sono illusi di essere immuni alle conseguenze peggiori, che invece sono dietro l’angolo anche per loro, per i bambini perfino. Anche nella Fase Due ci si preoccuperà di liberare gli anziani dall’isolamento per ultimi, e viene il sospetto che non sarà per il loro bene, ma solo perchè non ci sono energie da sprecare.

Gli anziani di oggi se ne vanno in silenzio. Nati e cresciuti nel periodo in cui gli adulti non ascoltavano il disagio infantile, per poi divenire genitori quando sarebbero stati i giovani a non volerli ascoltare e a criticarli. In loro adesso c’è solo tristezza, solitudine e la certezza che non avranno nessuno vicino a confortarli nel momento estremo o ad accompagnarli nell’ultimo viaggio. Neppure un funerale, niente lacrime, soli e nudi in una doppia bara disinfettata e destinati alla cremazione.

Se ne vanno sì, portando con sé le ideologie che li hanno animati nelle rivolte studentesche, accompagnati dall’eco delle musiche dei Beatles e dei Rolling Stones, dal rombo delle moto di Easy Rider. Il frastuono della loro esistenza sparisce, privo della riconoscenza, non della gratitudine, di chi a loro deve molto. E scevro del rispetto che per secoli è stato riservato alla loro saggezza. Di quella generazione non resterà granché, perchè il mondo ha dimenticato ciò che ha rappresentato.

***

In tempi non sospetti il mio racconto “La Generazione Mancante” trattava già una situazione analoga, ambientata in un futuro non troppo lontano. Pubblicato da vari settimanali e da un mensile della RAI ha ottenuto una grande attenzione, se volete leggerlo è al seguente link:

https://danielaalibrandi.wordpress.com/2019/10/20/togliere-il-voto-agli-anziani-semplice-provocazione-o-reale-proposta-la-generazione-mancante/

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, LE NEWS

Le rughe nell’animo… al tempo del Coronavirus


Pubblicato da L’Ortica del Venerdì il 17 aprile 2020

All’inizio era solo stupore, incredulità, impossibilità ad accettare il repentino cambio delle situazioni e degli scenari a cui eravamo abituati. Non sentire più nelle ore di punta il vociare, a volte festoso e più spesso lamentoso, dei bambini che entravano a scuola, il traffico dei genitori, che già stanchi nervosamente li accompagnavano, l’autobus preso d’assalto, i clacson e le tante, a volte troppe sollecitazioni esterne che impedivano perfino la concentrazione. Poi inaspettatamente tutto  si è chetato, anche lo schiamazzo delle improvvisate partite di calcio all’angolo della strada, persino l’odioso e continuo abbaiare dei cani. Tutti chiusi in casa per non contagiarsi con il nuovo, sconosciuto, temibile virus.

Sembrava impossibile, veniva da chiedersi se fosse realtà o se tutti insieme avessimo deciso di girare le scene di un film di fantascienza. All’improvviso volti irriconoscibili nascosti dalla mascherina, distanza tra di noi, sguardi sospettosi a indagare un colpo di tosse, uno starnuto non protetto dalla piega del gomito e non più dalla mano. Interminabili file, stavolta rispettate con rigore, per entrare in farmacia o al negozio di alimentari. Il foglio di via per non essere sanzionati, tutte precauzioni messe in atto per il bene comune.

E adesso il silenzio, profondo, totale, assordante, rotto solo dagli automezzi che continuano la raccolta differenziata e che con il loro rumore ci ricordano i carri dei monatti, quando durante la peste andavano di casa in casa a raccogliere i malati da portare al lazzaretto o i defunti da cremare. Già, come sta accadendo oggi a chi muore soffocato dal liquido nei polmoni. Viene da pensare che molti modi di morire sarebbero cento volte meglio. Tanta paura del colesterolo, dei trigliceridi, non mangiare questo o quello, tutti pronti al sacrificiio alimentare che preserva da complicazioni. E poi arriva un virus che fa rimpiangere perfino la morte vissuta con il conforto dei propri cari, una particella infettiva di dimensioni submicroscopiche che ti leva tutto, anche una fine dignitosa, il diritto ad essere accompagnato nell’ultimo viaggio dalle lacrime di chi ti ama.

Ed è proprio nel silenzio, assordante  e stupito dentro e fuori di noi, che i pensieri volano, come i molti volatili tornati a popolare la pineta vicina al mare. E’ come se la natura fosse l’unica autorizzata a parlare. Ci si accorge che non c’è voluto poi tanto che riprendesse i suoi spazi, dimostrandoci che lei è sempre stata lì, paziente, nonostante la cattiveria e l’indifferenza con cui è stata trattata. E non ci porta rancore, anzi, ci regala in un’inedita e intatta cornice il tripudio di profumi e colori a cui da tempo non si dava importanza.

Vivo sulla costa da anni e mi sorprendo nel vedere l’intraprendenza degli uccelli che con ampi voli rallegrano il panorama, planando sui balconi e sui terrazzi, quasi curiosi di scoprire che fine abbiano fatto i rumori che li tenevano lontani. E da qui scorgo il mare, la baia dove godevo di infinite camminate, un mare a cui adesso è vietato accedere. Osservo la striscia azzurra e vedo il suo colore che oggi è turchino, nostalgico. Mancano anche al mare quelle passeggiate, ne sono certa, ricordando le onde che al mio arrivo si allungavano a lambirmi le gambe, come un cucciolo che mi riconosceva festoso. Adesso lo immagino così solitario, mentre gode però della pulizia della spiaggia e del rispetto che non gli era più riservato.

È la natura adesso a indicarci la strada per non tornare a essere ciò che siamo stati, ci offre una chiave di lettura che per troppo tempo abbiamo ignorato. Adesso abbiamo capito che gli scenari possono cambiare in un attimo, che la libertà ci può essere tolta con poche mosse, che l’unione tra di noi è importante per vincere la distanza sociale. Stiamo sperimentando formule nuove lavorative e didattiche, che potranno svuotare le città dal traffico e dall’inquinamento assassino. Stiamo comprendendo l’importanza delle risorse umane e materiali che non dovremo mai più lasciare andare. Abbiamo capito troppe cose tutte in una volta e stranamente vediamo che la pelle proprio in questi giorni, non sottoposta ai soliti stress, mostra meno rughe, che i capelli tornano rigogliosi senza l’assalto degli acidi agenti atmosferici. Ma le rughe ora ce le abbiamo nell’animo e non ci sarà nessuna crema miracolosa a cancellarle, perché sono rughe di maturità, di consapevolezza, e in alcuni laceranti momenti, di estrema tristezza.

Daniela Alibrandi                                                                                                

 

 

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, LE NEWS

“Più salute = meno libertà, l’equazione crudele”


Propongo di seguito il mio articolo “Più salute=meno libertà, l’equazione crudele”, uscito oggi su OrticaWeb.

“…Avremmo dovuto indignarci di fronte all’abbandono di strutture sanitarie che erano autentiche eccellenze, avremmo dovuto disperarci, strapparci i capelli e graffiarci il volto fino a farlo sanguinare, come di fronte a un lutto senza rassegnazione, nel vedere un solo giovane laureato, in medicina come in altre facoltà, decidere di lasciare il Paese per trasferirsi dove le sue capacità venissero valorizzate…. “                        Leggi nel seguente link:

Più Salute-Meno Libertà, l’equazione crudele

PIU’ SALUTE=MENO LIBERTA’, L’EQUAZIONE CRUDELE  di Daniela Alibrandi 

Mai si sarebbe potuta immaginare un’equazione tanto cruda, quanto crudele. Soprattutto nell’epoca delle reti informatiche, delle relazioni sociali spesso delegate a dinamiche virtuali, in un quadro che ci faceva vedere la libertà come un bene acquisito.

E invece la realtà è diversa. Adesso che siamo costretti a stare sdraiati sui nostri divani o sui letti, in questa allucinante distanza sociale, ci accorgiamo che forse supini lo siamo stati per troppo tempo. Gli scenari cambiano in fretta, le strade divengono deserte, non si può passeggiare se non con “il foglio di via”, il territorio è facilmente controllabile. E sappiamo che tutto ciò viene fatto per il bene comune, per combattere il nemico invisibile.

Eppure la riflessione nasce irrefrenabile, mentre avremmo dovuto e potuto individuare da molto tempo le ganasce che adesso ci stritolano. La Sanità di un grande Paese, come quello che ci illudiamo di essere, non può collassare dopo dieci giorni di emergenza sanitaria.

Avremmo dovuto indignarci di fronte all’abbandono di strutture sanitarie che erano autentiche eccellenze, avremmo dovuto disperarci, strapparci i capelli e graffiarci il volto fino a farlo sanguinare, come di fronte a un lutto senza rassegnazione, nel vedere un solo giovane laureato, in medicina come in altre facoltà, decidere di lasciare il Paese per trasferirsi dove le sue capacità venissero valorizzate. Ci rendiamo conto che non era il caso di farla tanto difficile con numeri chiusi, specializzazioni, abilitazioni, un lungo percorso a ostacoli la cui vittoria spesso è stata garantita solo “ai figli di”, alla conservazione di poltrone secondo una consuetudine “dinastica”, non meglio identificata.

E adesso quegli stessi ragazzi che abbiamo ignorato vengono presi e gettati nella realtà più drammatica e difficile che abbia mai investito il nostro Paese. Così, come le giovani leve chiamate a donare il proprio entusiasmo per difendere l’indifendibile.

C’è qualcosa che non torna nei messaggi che stiamo ricevendo. Gli anziani e la loro mortalità, vissuta come un fatto ineluttabile, come se il loro destino fosse già segnato, se non per il coronavirus, per altre cause. Una scelta concettuale difficile da accettare, soprattutto in un popolo la cui cultura ha affondato le radici nell’esperienza e nella saggezza degli anziani. Un messaggio che non giova neanche ai giovani, illudendoli di non essere in pericolo, quasi che la mortalità sia un fatto destinato solo a una fascia di popolazione. Questo virus uccide e può uccidere tutti, questa è la cruda realtà, prima ne prendiamo atto e prima si arriverà alla consapevolezza sociale di accettare le regole per il bene generale.

Ci si aggira tra le quattro mura delle nostre abitazioni, in cerca di un qualcosa che non troviamo più. Non dobbiamo cedere alla voglia di uscire, di stare insieme agli altri, di correre verso il mare, che è stato sempre per eccellenza un luogo capace di curare. Vorremmo leggere un buon libro, ma le librerie sono serrate, come se la lettura fosse meno importante di un vizio, quale il fumo, meno essenziale di un alimento o di una medicina. E non quel respiro profondo di cui il nostro animo ha necessità, ora più che mai.

E ci accorgiamo improvvisamente che oltre ad essere supini, siamo stati anche disattenti. Non abbiamo mai prestato abbastanza attenzione ai litigiosi occupanti della meravigliosa fuoriserie che è il nostro Paese. Li sentivamo gridare, contendersi la guida, il sedile davanti, la libertà di aprire i finestrini, mentre avremmo dovuto esigere l’attenzione al muro di cemento armato contro cui ci si andava a schiantare.

Finirà questa emergenza, come sono terminate tutte quelle del passato, e si dovranno tirare le somme, dare più importanza ai numeri. Dovremo ricordare il tragico appuntamento delle ore 18.00 con i numeri elencati dalla protezione civile, di contagiati e di morti. Dovremo essere più guardinghi, stare attenti ai numeri che verranno comunicati sull’emorragia dei cervelli italiani all’estero, sulla quantità e la destinazione delle risorse. Scopriremo una coesione sociale, forse la più grande che abbiamo mai sperimentato. L’ho sempre detto, la gente italiana è gente tosta e non si smentirà neanche ora, che deve sconfiggere un nemico tanto subdolo da approfittare di un abbraccio, di una carezza, della tenerezza di cui adesso abbiamo sempre più bisogno.

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, LE NEWS

Per me il termine Femmina”…


“Per me il termine Femmina racchiude un universo complesso, morbido, luminoso, contrastante, passionale, profondo, divertente e soprattutto incompreso, forse proprio per l’imponderabile versatilità che contraddistingue la natura femminile in contrasto con la prevedibile natura maschile. “

https://oubliettemagazine.com/2017/11/01/donne-contro-il-femminicidio-30-le-parole-che-cambiano-il-mondo-con-daniela-alibrandi/

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, LE NEWS

Il Coronavirus e la voglia di stare insieme


Pubblicato da OrticaWeb

IL CORONAVIRUS E LA VOGLIA DI STARE INSIEME                        di Daniela Alibrandi 

E’ già successo almeno tre volte negli ultimi sessantadue anni, eppure ce l’abbiamo fatta. Dall’album di famiglia spuntano reminiscenze dell’epidemia di poliomielite che, zitta zitta nel lontano ’58, fece ben 8.000 vitttime in Italia. La memoria di un fagottino portato via da casa di corsa e di signori protetti da mascherine in volto, che praticavano punture a tutta la famiglia. Il ricordo appannato di una ragazzina che non giocò finchè non tornò quel fagottino a casa guarito, miracolato si disse.

E poi ancora nel ’76 quando in un’estate bollente, ma strana, esplose la legionella o legionellosi e mieté centinaia di vittime prima in America, tra i reduci legionari che si erano riuniti in un convegno, e poi in tutto il mondo. Si ipotizzò che dipendesse da un virus presente nella carta utilizzata nel congresso americano, ma poi si scoprì che si trattava di un batterio ed era nell’aria e nell’acqua. Il pericolo si annidava nei condotti di aria condizionata o nelle cipolle delle docce poco usate, addirittura nelle fonti idriche, perfino quelle termali. Di nuovo il terrore e l’angoscia.

Ancora, negli anni ’80, si scoprì che esisteva l’Aids. Per la verità già si conosceva, ma presente solo in zone endemiche, soprattutto in Africa. Eppure imparammo che non era il caso di fare l’amore senza protezioni, che anche un bacio poteva portare alla morte, che era un male pericoloso per tutti, poichè con i contatti intimi e le trasfusioni si poteva diffondere. Non era più un flagello destinato a determinate categorie o in circoscritte aree del pianeta. Negli spot televisivi iniziammo a vedere il contorno viola attorno a figure umane e, per un bel po’, ci sembrò di scorgere quel minaccioso limite viola anche attorno a chi ci stava vicino sull’autobus, nella metro, al supermercato. Ne era avvolto addirittura chi ci chiedeva di uscire o cercava di carezzarci, di baciarci.

E adesso il Coronavirus, anzi il Nuovo COVID 19, che fa ancora più paura scritto così. Stavolta la sfida è bella dura, anche perchè la confusione è tanta. Abbiamo infatti l’impressione che ci si stia ritorcendo contro tutto il castello di carte che siamo riusciti a costruire negli anni, legiferando senza lungimiranza. Adesso sì che servirebbero tutti gli infermieri e i medici che hanno dovuto lasciare questo meraviglioso Paese per lavorare all’estero. Adesso sì che sarebbe utile uno snellimento burocratico. Semplici e amare constatazioni che non hanno un colore politico.

Posso solo dire che negli anni abbiamo sempre vinto. Dopo l’epidemia di polio del ’58 l’Italia e Roma in particolare divennero, negli anni ’60, la culla della dolce vita. Dopo aver conosciuto e temuto l’Aids, siamo consapevolmente tornati a baciarci liberamente, senza più notare quella striscia viola tra noi e chi ci sta vicino. Abbiamo ripreso a sdraiarci sui prati, a ridere e a stare insieme, ironizzando su tutto come solo noi italiani sappiamo fare.

Ora sembriamo gli untori d’Europa, quelli che forse ingenuamente sono stati troppo trasparenti e scrupolosi rispetto ad altri. Ma siamo un popolo fiero, abbiamo sempre resistito e vinto. Perchè se è vero che l’italiano si sa adattare, è anche vero che sa dimostrare la forza della sua storia e della sua civiltà.

Adesso, con le scuole chiuse e il divieto di stare insieme, riscopriremo forse la bellezza delle feste in famiglia, delle serate con gli amici. Scopriremo che gli eventi culturali non sono poi così noiosi, che era bello toccarsi e non solo con il piede, che fino a ieri un abbraccio forte, fortissimo, era capace di darci coraggio e speranza. E scopriremo che il web, le chat, i post e i Mi PIACE possono farci ancora sentire una vicinanza virtuale, ma non dovranno mai più sostituire i rapporti umani. Forse riscopriremo  la carezza, l’amicizia, la voglia di stare insieme. L’aspetto positivo da trarre anche in questa infausta occasione sarà il saper dominare la rete, e non esserne dominati.

Perchè la gente italiana è gente tosta, e il mondo se ne accorgerà ancora meglio nel futuro, quando nonostante tutto l’Italia, come una bellissima donna affascinante, elegante e gentile, tornerà ad attrarre senza timori chi oggi la isola. Le sue piazze brulicheranno ancora di appassionati corteggiatori, le sue antiche fontane appagheranno amanti sempre più assetati e le sue bellezze naturali saranno di nuovo una mèta ambita. E tutti saranno accolti senza rancori, perchè la gente italiana è così, è gente tosta.

Pubblicato da OrticaWeb

 

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, LE NEWS

Femminicidio, ecco cosa ne penso…


Omicidio di una donna, una femmina. Fa impressione l’idea che un essere tanto complesso e determinante, come è la donna in molte culture presenti e passate, sia stato schiacciato, ucciso, eliminato come fosse un insetto che ha dato fastidio. E non ha importanza se è stata capace di ospitare e custodire la vita nel suo corpo, se ha amato e protetto il proprio ambiente con le sue intuizioni e con il suo infaticabile lavoro. Alla fine ha dato fastidio ed è per questo che è stata uccisa. Forse aveva smesso di amare, illudendosi di essere una persona libera, o più semplicemente era cresciuta e non si vedeva più in sintonia con tutto ciò che la circondava. La sua determinazione è stata interpretata come un insulto, la sua voglia di emancipazione e la ricerca di libertà sono state un’offesa punibile sì, ma solo con la morte. Per fortuna gli uomini non sono tutti uguali e non è giusto generalizzare, ma quelli che arrivano a tanto non si pentono. Anche se chiusi in gabbia il loro pensiero vola solo a quell’ultimo istante nel quale, con il loro drammatico gesto finale, hanno dimostrato qual era la vera essenza del loro amore, quel malsano senso di possesso, la naturale inclinazione alla prevaricazione. Sentimenti che non si placano, neanche se sono chiusi in una cella. Mi sembra di vederlo quel guizzo soddisfatto, un sorriso mal celato mentre guardano il mondo attraverso le sbarre e, nella loro mente, scorrono con intimo compiacimento le immagini di quegli occhi sbarrati che chiedono pietà, di quella femmina che nell’ultimo alito di vita ha ascoltato solo il sibilo delle loro parole: “Tu sei mia e non te ne vai!”

Questo pezzo è tratto dall’articolo che ho scritto per Oubliettemagazine di cui vi metto di seguito il link

Nel brano, che vi invito a leggere, ho cercato di analizzare e definire i termini, il cui significato può cambiare il mondo: Femmina, Femminismo, Femminicidio, Educazione Sentimentale. Del resto nei miei libri affronto spesso questo scottante argomento… “Una morte sola non basta”, Nessun segno sulla neve”, “I Delitti Negati”, “Quelle strane ragazze”, etc..

http://oubliettemagazine.com/2017/11/01/donne-contro-il-femminicidio-30-le-parole-che-cambiano-il-mondo-con-daniela-alibrandi/

Donne contro il Femminicidio #30: le parole che cambiano il mondo con Daniela Alibrandi

 

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, I Miei Racconti, LE NEWS

“La Generazione Mancante”


Non è lontano il futuro nel quale gli anziani…

LA GENERAZIONE MANCANTE

Una giornata di sole come non se ne vedevano da tempo nella vallata. Finalmente un vero accenno alla primavera dopo i vani tentativi di un sole stanco. Era il sedicesimo quarto del 2089. Roberto si era alzato presto, la riunione sarebbe iniziata di prima mattina e lui avrebbe dovuto concludere la fusione della Ditta da lui amministrata in Eurasia con quella gemella di Oltreoceano. Lui sentiva però nell’aria qualcosa di strano, che lo infastidiva, lo avvertiva anche ora che inspirava con gusto quell’aria mite. Nonostante ciò, il sole lo stava mettendo di buon umore e, ancor più, lo avevano rallegrato i tanti auguri giunti per il suo compleanno. Aveva iniziato la banca a farglieli, imprimendoli nel display delle transazioni online, poi gli si erano materializzati sullo schermo virtuale e tridimensionale, che occupava una parete dell’ampio salone di casa. Li aveva perfino letti sull’ordine telematico degli alimenti per la cena e, insomma, dovunque si fosse trovato a utilizzare il suo cartellino magnetico. Quel pass par tout, rigido e di un colore rosso vermiglio, gli era stato assegnato alla nascita e aveva accompagnato tutta la sua crescita, perfino l’entrata a scuola, in chiesa e nelle discoteche. Era stata la sua garanzia di appartenenza alla società che si era creata dopo l’Avvento dei Giovani. Le strade, delimitate da campi magnetici, registravano la sua entrata nel proprio settore, perfino i centri commerciali gli spalancavano le porte scansionandone gli estremi e, grazie ad esso, lui non aveva mai incontrato difficoltà. La nuova società, con le sue ferree regole e la sua capillare organizzazione, rappresentava un’indiscutibile certezza. I giardini, perfettamente curati e di dimensioni precise, sfoggiavano tutti la stessa piacevole gamma di colori, il ciclo dell’immondizia era strutturalmente diversificato e i rifiuti riutilizzati, le strade terse e senza tracce di rifiuti organici. Nella nuova dinamica sociale ognuno aveva la sua giusta collocazione, esattamente come tutto ciò che lo circondava. Senza contare che gli imprevisti erano stati quasi azzerati e perfino i fenomeni naturali, per quanto estremi, riuscivano a essere governati. Insomma, dopo l’Avvento tutto aveva ritrovato il proprio ordine. E ora lui, alla soglia del suo sesto decennio, sapeva che sarebbe finalmente entrato nella fase del miglioramento, una nuova e sconosciuta dimensione dove erano transitati coloro che lo avevano preceduto. Sarebbe stata una sorta di Nirvana, così dicevano le nuove scritture. Nei micro cip di storia veniva descritto dettagliatamente il fallimento della società degli anziani, ciò che aveva preceduto il nuovo assetto. E la vecchia società, caotica, sporca e inefficiente era ormai un lugubre ricordo che l’umanità doveva solo aborrire. Lui, come tutti, conosceva una famiglia collettiva, composta da persone giovani, che lo avevano cresciuto e formato fino a farlo divenire manager della Ditta. Pigiò, come tutte le mattine, il suo cartellino rosso sulla costola sottostante il muscolo pettorale sinistro, dove sarebbe rimasto per l’intera giornata, calamitato dal micro cip inserito sotto pelle, contenente i suoi dati. Aveva dimenticato pochissime volte di compiere quel gesto, ma ciò che ne era conseguito aveva fatto sì che divenisse per lui un’azione normale, come il fatto di  respirare. Si era trovato infatti impossibilitato anche ad accedere al suo stesso bagno, così come alla cucina o alla piscina coperta dove, anche oggi, avrebbe fatto una corroborante nuotata.

E dopo la consueta immersione si preparò per andare al lavoro. Quella sarebbe stata una giornata storica per l’economia mondiale e la sera lui avrebbe festeggiato andando a fare una visita nella vicina Città del Sesso. Gli piaceva ogni tanto recarsi in quella sorta di villaggio pulito e controllato, che si ergeva non lontano dalla grande metropoli, dove si poteva sfogare con naturalezza qualsiasi istinto. Sorrise pensando a come vi si sarebbe divertito e rilassato e, mentre si spalmava il dopobarba, avvicinandosi allo specchio che ingrandiva i particolari del suo volto, non volle far caso alle piccole e incipienti rughe attorno agli occhi. Canticchiando, diede un colpetto di spazzola ai capelli leggermente brizzolati, preoccupandosi solamente di vestirsi in fretta. Mancava poco all’arrivo della sua auto. Scese al piano sottostante per bere la colazione calda che trovava puntualmente ogni mattina, così come previsto dal suo piano alimentare, preparata dalla cuoca e cameriera messa a sua disposizione dalla Ditta. Con sua enorme sorpresa non trovò la giovane donna alta, capelli rossi e braccia energiche e, ancor peggio, non c’era neanche la colazione. Irritato per quello che era il primo ritardo in tre anni di servizio della donna, si avvicinò al piano di cottura per scaldare un po’di caffè, ma anche questo sembrava non rispondere ai suoi comandi. Non partiva neanche l’energia suppletiva prevista in quei casi. <<Ma cosa diavolo sta accadendo?>> si chiese, infastidito dai contrattempi a cui non era abituato e tanto meno preparato. Guardò l’ora. Mancavano quindici minuti alle otto. Ormai l’autista doveva essere arrivato. Pensò che avrebbe chiarito tutto al ritorno e si avvicinò alla porta d’ingresso, prendendo la valigetta nera contenente il computer e alcuni documenti.

Uscì e l’aria dolce della primavera, carica dell’essenza di fiori nuovi, invase le sue narici e tutto il suo essere, facendogli dimenticare i noiosi inconvenienti. Respirò a pieni polmoni e tornò a considerare, soddisfatto, che quello era un grande giorno. Volse lo sguardo alla strada sicuro di trovarvi l’auto ad attenderlo, ma non c’era nessuno. Era troppo. Prese il cellulare e una voce sibilò nel suo orecchio “Auguri di buon compleanno!” clak. Niente più, solo l’insolito vhuu di una linea sconnessa. La sua mano andò meccanicamente a cercare il cartellino rosso, che stava come sempre al suo posto. In tutta la sua vita non gli era mai capitato quello che stava avvenendo quel giorno. Poggiò in terra la valigetta e vi si sedette sopra. Portò le mani alla testa e affondò le dita tra i capelli. Improvvisa la visione di un’auto scura e veloce, priva dei contrassegni della Ditta, attirò la sua attenzione. Dalla vettura scesero due giovani, che indossavano le divise dell’Autorità Interna e si dirigevano verso di lui, sorridendo.

 “La società dell’Avvento le augura buon compleanno!” Roberto sorrise, forse era tutto uno scherzo, messo in atto per fargli una sorpresa. I due uomini, della medesima altezza, indossavano lo stesso modello di occhiali da sole e sfoggiavano un identico taglio di capelli, uno biondo e l’altro castano. Si avvicinarono.

“Ci può favorire il cartellino rosso?” Roberto li guardò esterrefatto. In vita sua non se ne era separato neanche un attimo.

“No, perché mai?” rispose indignato.

“Non si preoccupi, fa solo parte delle procedure di transizione!” disse il biondo. Roberto pensò che fosse meglio accondiscendere alle loro richieste, soprattutto perché si stava facendo tardi.

“Eccolo” disse seccato, staccandolo dalla pelle che ricopriva il suo costato. Il biondo lo passò al moro, che lo inserì in un contenitore, dal quale ne tirò fuori uno identico, ma nero.

“Da oggi in poi dovrà utilizzare questo, esattamente come ha fatto con il rosso”.

 “Ma…” tentò di ribattere Roberto.

“Non c’è nulla da aggiungere, proprio come ha utilizzato finora il rosso. E buon proseguimento!” gli dissero all’unisono i due mentre, sorridendo, velocemente tornavano all’auto. La vettura scomparve in breve all’orizzonte.

 “Ma…” tornò a dire Roberto sottovoce, rivolto alla strada deserta, che come una lingua scura scendeva verso la vallata. Tutto ciò aveva dell’incredibile, pensò, mentre posizionava il cartellino nero dove fino a poco prima pendeva quello rosso. Doveva cercare di contattare la Ditta, ci sarebbe stata una spiegazione plausibile. Cercò di rientrare in casa, ma l’uscio non si aprì. Roberto iniziò a ridere nervosamente, si sedette sui gradini e accese il computer, si sarebbe messo in contatto con la sua segretaria. Sul desktop risaltava un grandissimo augurio di buon compleanno, ma non esistevano più i suoi file e non c’era alcun tipo di collegamento. Stupefatto iniziò a sudare, si allentò il nodo della cravatta. La giornata iniziava a essere maledettamente calda, e quel sole che tanto lo aveva rallegrato ora stava rendendo lo scenario addirittura ossessivo. Lasciò la valigetta con il computer sul ciglio della strada, si tolse la giacca, la ripiegò sull’avambraccio e iniziò a camminare.

Finalmente la città, con le sue vie terse e ordinate, attraversate da veicoli a lui familiari. Tutto riprendeva il giusto spessore e lui godeva nel vedere il traffico silenzioso e ben pianificato. Venne colto dal profumo dell’aria cittadina, dove innumerevoli vite correvano senza fare rumore e producevano quel benessere comune a cui anche lui tanto aveva dedicato della sua esistenza. Raggiunse il punto di trasporto dove una serie di autovetture attendevano solamente l’arrivo del passeggero. Le osservò compiaciuto. Erano automobili piccole di dimensioni le cui ruote, dallo pneumatico sottile e con un ampio cerchione sgargiante, davano un tocco di eleganza. Tutte, anche se ognuna di colore diverso, possedevano il lunotto posteriore dal design leggermente ricurvo, che scendeva verso una targa fosforescente, i cui numeri e lettere cambiavano ogni trenta secondi. La numerazione si sarebbe fermata solo quando il passeggero avesse sfiorato la portiera dell’auto, facendo così scansionare il suo cartellino. Roberto si stava finalmente rilassando, gli sembravano già lontani tutti gli imprevisti che avevano caratterizzato il suo risveglio. Volle notare, quasi ipnotizzato, il susseguirsi degli elementi identificativi delle targhe XA23981, WZ956N0, YCDEV762. Ogni trenta secondi esse mutavano aspetto e colore e lui provò qualcosa di molto simile a un capogiro. Decise di salire sulla macchina di colore grigio che aveva di fronte. Si avvicinò alla portiera, ma il meccanismo informatico non riconobbe il suo cartellino. Di nuovo tornava l’incubo.

Preso da una frenesia incontenibile si portò verso gli sportelli delle altre vetture. Niente, nessuna si apriva al suo contatto. L’ultima, nera di colore, invece, emise il suono di aria compressa che faceva scattare la serratura. Prima di salire Roberto volle sincerarsi che anche i numeri della targa si fossero bloccati e così era, AWXF43521. Salì, finalmente confortato, nell’accogliente abitacolo, e si sedette sul divanetto in pelle che, con la sua forma di comodo semicerchio, prendeva quasi la totalità dello spazio interno. L’autovettura, munita di motore elettrico e senza conducente, disponeva anche di una cloche a mezzaluna e di un sedile anatomico, che garantivano la possibilità del passaggio ai comandi manuali in caso di necessità. Sul video del cruscotto si materializzò la scritta “Buon Compleanno!” e una voce metallica esortò Roberto a impostare l’indirizzo di destinazione sulla tastiera che, salendo contemporaneamente dal pavimento, si era già posizionata alla sua destra. Mentre una cintura di sicurezza avvolgeva automaticamente il suo torace, lui sorrideva, pensando che la procedura di transazione era costellata di sollecitazioni particolari. Senza indugio impostò l’indirizzo della Ditta e l’auto iniziò il suo percorso. Era tanto tempo che Roberto non si serviva del trasporto urbano e gli stava piacendo molto vedere l’efficienza e l’eleganza dei particolari meccanismi di cui l’autovettura era dotata. La tastiera con l’indirizzo era sparita velocemente e, al suo posto, si era materializzato un contenitore di acqua. Lui bevve di cuore, anche se la climatizzazione dell’auto non gli faceva più soffrire la calura esterna. Fuori dai finestrini oscurati scorrevano gli edifici e il paesaggio della sua città, mentre il suo viaggio continuava in quell’involucro morbido e ovattato.

Il computer di bordo materializzava sul display la distanza rimanente per giungere a destinazione e il tempo necessario per percorrerla, la temperatura esterna e quella interna e le previsioni meteorologiche per le successive ore. Quando tutto sembrava ormai rientrato nella normalità, Roberto si accorse che non appariva più l’indirizzo della Ditta come destinazione del suo viaggio. Anzi sul monitor si susseguivano scritte a lui incomprensibili. Guardò spaventato fuori dal finestrino e si accorse che il paesaggio esterno stava rapidamente cambiando, mentre lui non riconosceva più i luoghi che, veloci, sfrecciavano davanti ai suoi occhi esterrefatti. L’auto si fermò e il meccanismo ad aria compressa aprì la portiera. Sul monitor apparve la scritta Benvenuti a destinazione e la cintura di sicurezza liberò il suo corpo. Roberto si gettò sul pulsante che permetteva il passaggio ai comandi manuali, ma sul video apparve il messaggio Accesso Negato, Accesso Negato, che continuò a ripetersi finché lui non poté fare altro che scendere. L’auto richiuse lo sportello e corse via velocemente.

Si trovava fuori dalla città, ai limiti della foresta che attorniava l’agglomerato urbano. Una brezza sottile muoveva dolcemente le chiome degli alberi e lui notò, all’imbocco della strada sterrata, un interminabile tapis roulant, che fendeva come una lenta spada il costato della selva. Vi salì, non sapendo più quale sarebbe stata la sua reale meta. L’odore rorido del sottobosco lo avvolse, accogliendolo. Alla fine, si trovò a deambulare per un sentiero sterrato. Ormai era quasi sera e anche la terra che lui calpestava pesantemente emanava un odore umido. Vide in lontananza dei fuochi e vi si diresse, senza un perché. Nell’avvicinarsi incontrava delle figure sconosciute. I loro tratti umani risultavano molto diversi da quelli a lui noti. Capelli canuti, sguardo perso nel vuoto, solchi scavati in volto. Si sedette vicino al fuoco, era esausto. La donna di fronte a lui, la cui magrezza era messa in risalto dai lunghi capelli bianchi, penetrava con il suo sguardo chiaro le alte lingue della fiamma.

“Dove mi trovo?” le chiese con tono implorante. Lei sorrise, si alzò e gli si sedette vicino.

“Hai fame?” La sua voce era dolce e melodiosa, ma ciò non leniva la sua disperazione.

“No, non ho fame, non ho sete, voglio solamente sapere dove mi trovo!” La donna gli carezzò i capelli.

“Sei tra noi, non sapevi che esistevamo vero?” Roberto la guardò meravigliato e chiese ancora:

“Ma chi siete voi?” Il tono che aveva usato era quasi schifato e rabbioso, ma la donna sorrise indulgente.

“Siamo gli anziani o, se preferisci, i vecchi”. Roberto la fissò con le pupille dilatate. Non poteva essere, quelli di cui la donna stava parlando avevano fallito e la società si era liberata di loro già da molto, moltissimo tempo.

“Cosa mi stai dicendo, vecchia!” esclamò, sottraendosi alla sua carezza. Senza modificare il tono di voce, la donna continuò:

“Non mi credi, vero? Ma guardati attorno, vedi più niente che ti sia familiare?”

Roberto volse lo sguardo in giro. Era vero, non riconosceva quel mondo. Si sentiva sfinito e la donna gli fece poggiare la testa sulla sua spalla mentre, continuando a parlare, riusciva di nuovo a carezzargli i capelli.

“Vedi, noi siamo la generazione mancante”. Roberto, incantato da quella voce, seguì con inspiegabile fiducia il suo racconto. “La generazione che è stata soppressa per il bene dell’umanità”

“Com’è possibile?” Chiese lui. La donna sorrise amaramente e andò avanti:

“Giunse un tempo nel quale i sistemi previdenziali saltarono e gli anziani dovettero lavorare fino alla morte. I giovani, condannati a lavori sempre più insicuri, se poi riuscivano a trovarne, e nell’impossibilità di progettare la loro vita futura, vedevano i vecchi occupare non solo il mondo lavorativo, ma anche tutti i posti di potere. E la scienza utilizzata per garantire loro una sempre maggiore aspettativa di vita. Gli anziani governanti non capirono in tempo quale frattura sociale si stesse creando e gestirono il potere senza saggezza, facendo sempre maggiori danni, con la sola preoccupazione di non dar spazio a quella generazione. La collera di quei ragazzi crebbe e con rabbia essi si organizzarono in incontenibili rivolte di massa. Accadde l’imprevedibile. Le due generazioni si scontrarono selvaggiamente e le città si riempirono di morti. Una guerra lacerante, le cui conseguenze furono inimmaginabili. La nuova generazione ebbe la meglio e ciò che seguì fu una spietata caccia all’anziano. Per le strade, nei quartieri e, dovunque ne trovassero uno, le esecuzioni erano immediate, plateali. Non vi fu neanche la pietà dei figli verso i padri, era ormai solo una questione di sopravvivenza. Una volta preso il potere, i giovani misero in campo tutte le loro energie e potenzialità, e riuscirono a creare una società organizzata diversamente, finalmente ordinata e funzionale, cercando soprattutto di non ripercorrere gli errori che erano stati fin lì compiuti. Tutto, ogni singola azione venne programmata e controllata con la creazione di reti informatiche sempre più capillari e sofisticate, sai i giovani ci sapevano fare con i computer! I vecchi, invece, furono quelli che pagarono lo scotto maggiore, all’inizio eliminati, poi spinti ai limiti della società, resi invisibili e infine dotati del cartellino nero”.

La mano di Roberto andò meccanicamente al suo costato. Lei gli sorrise consapevolmente e gli domandò:

“Anche tu ne hai uno, vero?” Roberto la guardava incredulo. Nella sua civiltà non esisteva il termine vecchio. I deputati del suo Parlamento avevano meno di trent’anni, così come il Sommo Pontefice, che ne aveva compiuti da poco ventisette. Di cosa stava parlando quella donna?

“Cosa stai dicendo, vecchia! La vostra società ha fallito, ce lo hanno insegnato, sai! Non siete riusciti in niente! Gli alimenti ormai erano veleni e l’immondizia non veniva più raccolta. Nelle città la gente poteva respirare solo con l’aiuto di maschere filtranti e la corruzione era divenuta la vostra regola. Siete perfino riusciti a distruggere l’equilibrio naturale, avete disboscato le foreste e avvelenato il mare! Quello sì che è stato il vero massacro. La vostra società aveva fallitooo!” le gridò con veemenza. Lei lo guardò impassibile.

“Può darsi ma, insieme a questo sfacelo, noi possedevamo dei valori insostituibili. La conosci tu la vera passione, hai mai provato il calore della famiglia, con i nonni che raccontano le favole ai nipotini, sai cosa sia un nonno?” No, Roberto non lo sapeva, Iniziò a sentire dei brividi, la notte si preannunciava fredda e lui si stava sentendo perso in un mondo di vecchi, che non credeva esistesse. La donna continuava a parlare:

“Molti di noi tentano a volte di prendere il mare a bordo di zattere, poiché si dice che nell’Oltre Mediterraneo esistano ancora delle società tribali rispettose degli anziani, che li accettano e li venerano perfino, ma nessuno mai è tornato per rassicurare gli altri che ciò sia vero. Anzi, a volte le onde hanno riportato a riva i loro cadaveri!”

Roberto era in preda a un delirio mentale, che non gli lasciava alcuna lucidità e si guardò attorno. Il sentimento nuovo che stava nascendo in lui lo stupì. Era una grande, incommensurabile pena. Molti individui si scaldavano attorno ai fuochi, chi tossiva, chi si asciugava gli occhi, per le lacrime dovute forse all’invecchiamento delle loro cornee. Tutti però cercavano di incoraggiarlo, sorridendogli. Nei loro sguardi non c’era automazione, ma esperienza, il loro sorriso non trasmetteva soddisfazione, ma consapevolezza. Dai loro movimenti goffi e lenti, così lontani da quelli veloci ed efficienti a cui lui era abituato, traspariva un’immensa, abissale amarezza. Un uomo dalle mani rugose, le cui vene sembravano schizzare fuori dalla pelle raggrinzita e macchiata, gli porse una ciotola con dell’acqua e Roberto bevve avidamente. Il suo sguardo andò al quadrante del suo orologio, che lo informava costantemente dei valori vitali, compresa l’idratazione delle sue cellule, ma ora vi si leggeva solo una scritta fosforescente: Buon compleanno! Stordito tornò a poggiare il capo sul seno della vecchia e si addormentò al ritmo del suo cuore. L’odore di quella pelle era diverso e sapeva di fiori e di antico, quella scorza ruvida e solcata emanava un inebriante calore, nascondendo un’intima e accogliente morbidezza. E lui liberò la mente in un mondo onirico, che confondeva la luce con le tenebre. Vide chiaro, come illuminato da un lampo, il sottile confine esistente tra ragione e follia. Anche lui ora sarebbe dovuto sparire alla vista dei giovani, senza possibilità d’appello. Ci sarebbe stata sempre una generazione mancante per pareggiare quel disumano conto. Sognò della sua realtà, di se stesso, ora vecchio confuso in mezzo ai vecchi. E provò una immensa angoscia per quella società di giovani, priva dei valori che forse non avrebbe più potuto assaporare. Lui ora ne conosceva il significato e il valore. Ne era stato appena avvolto e già sentiva di non poterne fare più a meno.

Alla fine non furono neanche più i sogni ad agitarlo e cadde in un sonno profondo, al ritmo del cuore antico che sentiva battere vicino a lui.

E mai risveglio fu più dolce per Roberto. A destarlo furono il cinguettio degli uccelli e i tiepidi raggi di un sole nuovo. Era rimasto stretto al corpo della vecchia per tutta la notte e, al contrario di ciò che aveva temuto, non aveva sofferto il freddo, accanto al fuoco che ancora ardeva lì vicino. L’odore di fresca rugiada e di corteccia umida invase le sue narici, infondendogli una forza sconosciuta e inaspettata. La vecchia era già sveglia e, mentre lui scrutava i dintorni, lei lo osservava curiosa, come se aspettasse qualcosa dai suoi gesti e dal suo sguardo. Alla luce del sole non le sembrava più che appartenesse all’uomo perso che aveva addirittura rifiutato le sue carezze la sera precedente.

Lì intorno dormivano gli anziani, chi su giacigli di fortuna, chi sotto improvvisati ripari, attorcigliati a coperte annose, che sembravano essere tessute con l’amarezza del loro percorso. Colpi di tosse giungevano come portati da eco lontane. E lui per la prima volta in vita sua sentiva di avere una scelta, di poter decidere del suo destino che, adesso, non era più preordinato e finalmente non doveva rispondere a regole precise e rigide.

Si alzò e stirò le membra, accorgendosi che all’orizzonte di intravedeva una striscia di mare azzurro. Già si imbastiva l’eterno dialogo tra le onde e la miriade di gabbiani, che disegnavano voli festosi nei colori pastello dell’alba. Roberto provò un brivido intimo, profondo, e capì che adesso dipendeva solo da lui. Molti di quei vecchi si stavano svegliando e tutti lo guardavano come se gli stessero silenziosamente chiedendo un segnale, un impulso.

Si avvicinò al fuoco e lo ravvivò, poi staccò dal suo costato il cartellino nero e ve lo gettò. Le fiamme si levarono e sembravano anch’esse felici di annientare quel simbolo odioso. Uno dopo l’altro le donne e gli uomini dai capelli bianchi, dalla pelle rugosa e dal respiro affannoso si avvicinarono al fuoco e vi scaraventarono, chi con rabbia e chi con rassegnazione, il cartellino nero. Il crepitio delle lingue di fuoco sembrò un tripudio e, senza parlare, i vecchi raccolsero da terra le poche cose che continuavano ad essere importanti per loro, un indumento, una foto, qualche oggetto.

Tutti lo osservavano e Roberto vide nei loro occhi la fiera determinazione che tornava ad animarli. Porse il braccio alla vecchia addosso alla quale aveva trascorso la notte e si incamminò verso il tapis roulant che l’aveva trasportato fino a lì il giorno precedente. Il meccanismo adesso era fermo, programmato per muoversi in un’unica direzione, non ipotizzando che avrebbe potuto essere utilizzato addirittura per tornare.

E Roberto provava un’eccitazione nuova, il mondo stava per riscoprire i valori essenziali alla crescita del genere umano. Finiva lì il conto disumano che, per pareggiare, aveva avuto necessità di cancellare almeno una generazione. Lui ora sapeva che i giovani avrebbero compreso ciò che finora non avevano capito e cioè che senza gli anziani sarebbe sempre mancata l’altra metà dell’universo profondo che plasma i sentimenti umani.

Non c’era timore, ma solo voglia di tornare in quella folla che ordinatamente camminava ora, percorrendo a ritroso quel crudele percorso. Le loro figure colpite dalla forza del sole nascente erano più solide e ben definite, anche se lasciavano sulla terra umida ombre sempre più lunghe ed evanescenti.

                                                                                                                     Daniela Alibrandi

*  *  *

Questo racconto è stato pubblicato da un mensile della RAI, dal settimanale L’Ortica del Venerdì, inserito nell’antologia “Mezzaluna”, pubblicata da Veledicarta insieme ai racconti scelti dal cantautore Eugenio Finardi. Il racconto fa parte dell’antologia “I Doni della Mente”, tradotta nell’edizione inglese “Echoes of the soul”, disponibile ai seguenti link di Amazon e Kobo Mondadori.

https://www.kobo.com/it/it/ebook/i-doni-della-mente

https://www.amazon.it/DONI-DELLA-MENTE-Racconti-Pensieri/dp/1521363919

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, Interviste, LE NEWS

“In ogni donna c’è una prostituta” il mio articolo per Cultura al Femminile


“In ogni donna c’è una prostituta”, questo ha affermato un noto psichiatra, intervistato relativamente alle accuse e alle denunce di molestie sessuali di cui tanto si sta parlando in questi giorni.

http://www.culturalfemminile.com/2017/11/09/donna-ce-prostituta-cura-daniela-alibrandi/

“IN OGNI DONNA C’E’ UNA PROSTITUTA”                             di Daniela Alibrandi

 

Standard
ARTICOLI LIBERA-MENTE, Interviste, LE NEWS

Oubliette Magazine mi ha intervistato


 

Donne contro il Femminicidio: le parole che cambiano il mondo con Daniela Alibrandi

http://oubliettemagazine.com/2017/11/01/donne-contro-il-femminicidio-30-le-parole-che-cambiano-il-mondo-con-daniela-alibrandi/ 

Standard