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leggere aiuta sempre…


Anche in questo periodo di chiusura è possibile leggere i miei romanzi. “I Misteri del Vaso Etrusco” e “Nessun Segno sulla Neve” (Premio Circe 2013) sono acquistabili online sui siti dedicati o chiamando la sede de L'”Ortica” al numero 069941736 per riceverli a casa. “I Misteri del Vaso Etrusco”, in particolare, è ordinabile anche tramite le librerie COOP. Una bella lettura può esorcizzare le difficoltà che stiamo vivendo!

https://www.librerie.coop/libri/9788890963452-i-misteri-del-vaso-etrusco-universoeditoriale/

I MISTERI DEL VASO ETRUSCO (Edizioni Universo)

SINOSSI: La pluripremiata Alibrandi si cala ancora una volta nei cassetti più riposti della mente umana, dove fioche fiammelle gettano oscuri bagliori su verità difficili da raccontare. La sua comprensione delle ragioni del male, nell’incessante ricerca dell’equilibrio e degli squilibri dei chiaroscuri dell’animo, valica i confini del noir per trasportarci nella realtà nuda e cruda dei segreti della provincia.

       NESSUN SEGNO SULLA NEVE (Edizioni Universo)

SINOSSI: PREMIO LETTERARIO NAZIONALE CIRCE 2013 – Un thriller psicologico, la cui trama inizia ai giorni nostri e porta a un avvenimento criminoso mai risolto, avvenuto nel 1968, quando il protagonista del romanzo frequentava il liceo. Questa storia, che sembrava dimenticata e sepolta, torna ad essere improvvisamente e drammaticamente attuale per lui, ora brillante e stimato medico oncologo di mezza età, quando in un caldo e pigro pomeriggio settembrino, si diverte a navigare in internet insieme al figlio. Aiutato da quest’ultimo, infatti, entra in un importate network e si imbatte nel profilo della ragazza che amava disperatamente in quegli anni, dalla quale purtroppo non era mai stato ricambiato. E’ l’inizio di un viaggio interiore intriso di profonda nostalgia, ricordi e passioni, che porterà il suo destino a intrecciarsi in modo imprevedibile con quello della ragazza, divenuta ormai una donna matura. Il romanzo offre un affresco fedele e nostalgico della vita italiana durante quegli avvenimenti sociali e politici, che segnarono in modo indelebile un’intera generazione. Ad arricchire il racconto una trama gialla che, partendo da un episodio criminoso avvenuto allora, termina con un finale imprevedibile al giorno d’oggi.

Se preferite l’ebook, questo è il link: https://www.amazon.it/NESSUN-SEGNO-SULLA-Nuova-Edizione-ebook/dp/B01M4JNG4V

Oggi, 30 marzo 2020, “Nessun segno sulla neve” è tra i primi 100 Best Seller di Amazon Italia”!

 

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Le rughe nell’animo… al tempo del Coronavirus


Pubblicato da L’Ortica del Venerdì il 17 aprile 2020

All’inizio era solo stupore, incredulità, impossibilità ad accettare il repentino cambio delle situazioni e degli scenari a cui eravamo abituati. Non sentire più nelle ore di punta il vociare, a volte festoso e più spesso lamentoso, dei bambini che entravano a scuola, il traffico dei genitori, che già stanchi nervosamente li accompagnavano, l’autobus preso d’assalto, i clacson e le tante, a volte troppe sollecitazioni esterne che impedivano perfino la concentrazione. Poi inaspettatamente tutto  si è chetato, anche lo schiamazzo delle improvvisate partite di calcio all’angolo della strada, persino l’odioso e continuo abbaiare dei cani. Tutti chiusi in casa per non contagiarsi con il nuovo, sconosciuto, temibile virus.

Sembrava impossibile, veniva da chiedersi se fosse realtà o se tutti insieme avessimo deciso di girare le scene di un film di fantascienza. All’improvviso volti irriconoscibili nascosti dalla mascherina, distanza tra di noi, sguardi sospettosi a indagare un colpo di tosse, uno starnuto non protetto dalla piega del gomito e non più dalla mano. Interminabili file, stavolta rispettate con rigore, per entrare in farmacia o al negozio di alimentari. Il foglio di via per non essere sanzionati, tutte precauzioni messe in atto per il bene comune.

E adesso il silenzio, profondo, totale, assordante, rotto solo dagli automezzi che continuano la raccolta differenziata e che con il loro rumore ci ricordano i carri dei monatti, quando durante la peste andavano di casa in casa a raccogliere i malati da portare al lazzaretto o i defunti da cremare. Già, come sta accadendo oggi a chi muore soffocato dal liquido nei polmoni. Viene da pensare che molti modi di morire sarebbero cento volte meglio. Tanta paura del colesterolo, dei trigliceridi, non mangiare questo o quello, tutti pronti al sacrificiio alimentare che preserva da complicazioni. E poi arriva un virus che fa rimpiangere perfino la morte vissuta con il conforto dei propri cari, una particella infettiva di dimensioni submicroscopiche che ti leva tutto, anche una fine dignitosa, il diritto ad essere accompagnato nell’ultimo viaggio dalle lacrime di chi ti ama.

Ed è proprio nel silenzio, assordante  e stupito dentro e fuori di noi, che i pensieri volano, come i molti volatili tornati a popolare la pineta vicina al mare. E’ come se la natura fosse l’unica autorizzata a parlare. Ci si accorge che non c’è voluto poi tanto che riprendesse i suoi spazi, dimostrandoci che lei è sempre stata lì, paziente, nonostante la cattiveria e l’indifferenza con cui è stata trattata. E non ci porta rancore, anzi, ci regala in un’inedita e intatta cornice il tripudio di profumi e colori a cui da tempo non si dava importanza.

Vivo sulla costa da anni e mi sorprendo nel vedere l’intraprendenza degli uccelli che con ampi voli rallegrano il panorama, planando sui balconi e sui terrazzi, quasi curiosi di scoprire che fine abbiano fatto i rumori che li tenevano lontani. E da qui scorgo il mare, la baia dove godevo di infinite camminate, un mare a cui adesso è vietato accedere. Osservo la striscia azzurra e vedo il suo colore che oggi è turchino, nostalgico. Mancano anche al mare quelle passeggiate, ne sono certa, ricordando le onde che al mio arrivo si allungavano a lambirmi le gambe, come un cucciolo che mi riconosceva festoso. Adesso lo immagino così solitario, mentre gode però della pulizia della spiaggia e del rispetto che non gli era più riservato.

È la natura adesso a indicarci la strada per non tornare a essere ciò che siamo stati, ci offre una chiave di lettura che per troppo tempo abbiamo ignorato. Adesso abbiamo capito che gli scenari possono cambiare in un attimo, che la libertà ci può essere tolta con poche mosse, che l’unione tra di noi è importante per vincere la distanza sociale. Stiamo sperimentando formule nuove lavorative e didattiche, che potranno svuotare le città dal traffico e dall’inquinamento assassino. Stiamo comprendendo l’importanza delle risorse umane e materiali che non dovremo mai più lasciare andare. Abbiamo capito troppe cose tutte in una volta e stranamente vediamo che la pelle proprio in questi giorni, non sottoposta ai soliti stress, mostra meno rughe, che i capelli tornano rigogliosi senza l’assalto degli acidi agenti atmosferici. Ma le rughe ora ce le abbiamo nell’animo e non ci sarà nessuna crema miracolosa a cancellarle, perché sono rughe di maturità, di consapevolezza, e in alcuni laceranti momenti, di estrema tristezza.

Daniela Alibrandi                                                                                                

 

 

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“Più salute = meno libertà, l’equazione crudele”


Propongo di seguito il mio articolo “Più salute=meno libertà, l’equazione crudele”, uscito oggi su OrticaWeb.

“…Avremmo dovuto indignarci di fronte all’abbandono di strutture sanitarie che erano autentiche eccellenze, avremmo dovuto disperarci, strapparci i capelli e graffiarci il volto fino a farlo sanguinare, come di fronte a un lutto senza rassegnazione, nel vedere un solo giovane laureato, in medicina come in altre facoltà, decidere di lasciare il Paese per trasferirsi dove le sue capacità venissero valorizzate…. “                        Leggi nel seguente link:

Più Salute-Meno Libertà, l’equazione crudele

PIU’ SALUTE=MENO LIBERTA’, L’EQUAZIONE CRUDELE  di Daniela Alibrandi 

Mai si sarebbe potuta immaginare un’equazione tanto cruda, quanto crudele. Soprattutto nell’epoca delle reti informatiche, delle relazioni sociali spesso delegate a dinamiche virtuali, in un quadro che ci faceva vedere la libertà come un bene acquisito.

E invece la realtà è diversa. Adesso che siamo costretti a stare sdraiati sui nostri divani o sui letti, in questa allucinante distanza sociale, ci accorgiamo che forse supini lo siamo stati per troppo tempo. Gli scenari cambiano in fretta, le strade divengono deserte, non si può passeggiare se non con “il foglio di via”, il territorio è facilmente controllabile. E sappiamo che tutto ciò viene fatto per il bene comune, per combattere il nemico invisibile.

Eppure la riflessione nasce irrefrenabile, mentre avremmo dovuto e potuto individuare da molto tempo le ganasce che adesso ci stritolano. La Sanità di un grande Paese, come quello che ci illudiamo di essere, non può collassare dopo dieci giorni di emergenza sanitaria.

Avremmo dovuto indignarci di fronte all’abbandono di strutture sanitarie che erano autentiche eccellenze, avremmo dovuto disperarci, strapparci i capelli e graffiarci il volto fino a farlo sanguinare, come di fronte a un lutto senza rassegnazione, nel vedere un solo giovane laureato, in medicina come in altre facoltà, decidere di lasciare il Paese per trasferirsi dove le sue capacità venissero valorizzate. Ci rendiamo conto che non era il caso di farla tanto difficile con numeri chiusi, specializzazioni, abilitazioni, un lungo percorso a ostacoli la cui vittoria spesso è stata garantita solo “ai figli di”, alla conservazione di poltrone secondo una consuetudine “dinastica”, non meglio identificata.

E adesso quegli stessi ragazzi che abbiamo ignorato vengono presi e gettati nella realtà più drammatica e difficile che abbia mai investito il nostro Paese. Così, come le giovani leve chiamate a donare il proprio entusiasmo per difendere l’indifendibile.

C’è qualcosa che non torna nei messaggi che stiamo ricevendo. Gli anziani e la loro mortalità, vissuta come un fatto ineluttabile, come se il loro destino fosse già segnato, se non per il coronavirus, per altre cause. Una scelta concettuale difficile da accettare, soprattutto in un popolo la cui cultura ha affondato le radici nell’esperienza e nella saggezza degli anziani. Un messaggio che non giova neanche ai giovani, illudendoli di non essere in pericolo, quasi che la mortalità sia un fatto destinato solo a una fascia di popolazione. Questo virus uccide e può uccidere tutti, questa è la cruda realtà, prima ne prendiamo atto e prima si arriverà alla consapevolezza sociale di accettare le regole per il bene generale.

Ci si aggira tra le quattro mura delle nostre abitazioni, in cerca di un qualcosa che non troviamo più. Non dobbiamo cedere alla voglia di uscire, di stare insieme agli altri, di correre verso il mare, che è stato sempre per eccellenza un luogo capace di curare. Vorremmo leggere un buon libro, ma le librerie sono serrate, come se la lettura fosse meno importante di un vizio, quale il fumo, meno essenziale di un alimento o di una medicina. E non quel respiro profondo di cui il nostro animo ha necessità, ora più che mai.

E ci accorgiamo improvvisamente che oltre ad essere supini, siamo stati anche disattenti. Non abbiamo mai prestato abbastanza attenzione ai litigiosi occupanti della meravigliosa fuoriserie che è il nostro Paese. Li sentivamo gridare, contendersi la guida, il sedile davanti, la libertà di aprire i finestrini, mentre avremmo dovuto esigere l’attenzione al muro di cemento armato contro cui ci si andava a schiantare.

Finirà questa emergenza, come sono terminate tutte quelle del passato, e si dovranno tirare le somme, dare più importanza ai numeri. Dovremo ricordare il tragico appuntamento delle ore 18.00 con i numeri elencati dalla protezione civile, di contagiati e di morti. Dovremo essere più guardinghi, stare attenti ai numeri che verranno comunicati sull’emorragia dei cervelli italiani all’estero, sulla quantità e la destinazione delle risorse. Scopriremo una coesione sociale, forse la più grande che abbiamo mai sperimentato. L’ho sempre detto, la gente italiana è gente tosta e non si smentirà neanche ora, che deve sconfiggere un nemico tanto subdolo da approfittare di un abbraccio, di una carezza, della tenerezza di cui adesso abbiamo sempre più bisogno.

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“Viaggio a Vienna” (Morellini Editore), un’anticipazione…


Un’anticipazione della trama per i molti di voi che attendevano l’uscita di “Viaggio a Vienna” (Morellini Editore ) per questo difficile mese di marzo e che sarà invece la novità d’autunno, preannunciata dalla stessa casa editrice.

Morellini Editore è con Daniela Alibrandi Autore.

Uscirà quest’autunno il nuovo romanzo di Daniela Alibrandi Autore, “Viaggio a Vienna” che racconta la storia di Anna, una donna piena di vita, con una professione, quella di giornalista, che pratica con grande entusiasmo. Mentre riesce a vivere su piani diversi due importanti storie sentimentali, è angosciata per non essere ancora divenuta madre. A causa di una misteriosa esperienza, si trova adesso nello stato di coma. In molti si alternano al suo capezzale nell’intento di farla svegliare, rammentandole fatti salienti e persone importanti della sua esistenza. Lei afferra le sollecitazioni che la portano a rievocare molto del suo vissuto, ma ciò che primeggia è il ricordo del viaggio a Vienna, una memoria che nasconde un segreto inconfessabile. E in un crescendo impietoso ci troveremo a voler seguire Anna, accompagnandola nella composizione dell’imprevedibile puzzle che lentamente troverà la sua definizione.

Il romanzo è ordinabile presso la casa editrice  https://www.morellinieditore.it/scheda-libro/daniela-alibrandi/viaggio-a-vienna-9788862987646-579361.html

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Sembra un secolo, ma era solo un anno fa!


Era solo il 20 marzo 2019 quando il mio romanzo “Una morte sola non Basta” (Del Vecchio Editore) veniva presentato alla Biblioteca della Camera dei Deputati, nell’ambito di un evento organizzato dalla FUIS. Rivedendo le foto oggi, nella realtà in cui siamo piombati, sembrano appartenere a un’altra vita. Ricordo che prima di essere ammessa alla biblioteca avevo voluto fare una passeggiata per le vie limitrofe. La piazza del Pantheon che brulicava di turisti, i vicoli di Roma a emanare la solita inconfondibile atmosfera. E poi un bel caffè a Sant’Eustacchio, prima di iniziare una delle avventure più emozionanti che la mia attività letteraria potesse regalarmi.

E nel bar di Sant’Eustacchio eravamo ammassati gli uni agli altri, per raggiungere il bancone dove dei camerieri veloci e gentili preparavano instancabilmente un numero infinito di caffè. Quell’aroma di chicchi appena tostati, di magica miscela, capace di risuscitare anche l’animo più addormentato è un indelebile ricordo.

https://www.facebook.com/Daniela-Alibrandi-Autore-108488582556510/

E poi via, verso la biblioteca della Camera dei Deputati. Mai avrei pensato di presentare un mio lavoro in quel luogo. Niente, mentre entravo e mi tremavano le gambe, mi ha fatto presagire il cambiamento tanto drastico e repentino di quel magnifico scenario.

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Oggi chiusa come tutti nella mia abitazione, dalla quale vedo il mare a cui è stato vietato anche l’accesso, immagino quella stessa piazza vuota, silenziosa. Pochi passsanti, che indossano la mascherina e posseggono il “foglio di via”, che attesti la loro effettiva necessità di trovarsi in quel luogo. Il caffè chiuso, alle finestre qualche tricolore a ricordarci che siamo italiani, un popolo forte, che è riuscito a superare sempre le enormi difficoltà storiche e sociali che  si sono presentate negli anni, nei secoli.

Ma anche l’animo più fiero si riempie d’angoscia, solo ricordando la voglia e la bellezza dello stare insieme, solo riflettendo sulla difficoltà di sconfiggere un nemico tanto subdolo da approfittare di un abbraccio, di una carezza, della tenerezza di cui adesso abbiamo sempre più bisogno.

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Per me il termine Femmina”…


“Per me il termine Femmina racchiude un universo complesso, morbido, luminoso, contrastante, passionale, profondo, divertente e soprattutto incompreso, forse proprio per l’imponderabile versatilità che contraddistingue la natura femminile in contrasto con la prevedibile natura maschile. “

https://oubliettemagazine.com/2017/11/01/donne-contro-il-femminicidio-30-le-parole-che-cambiano-il-mondo-con-daniela-alibrandi/

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Il Coronavirus e la voglia di stare insieme


Pubblicato da OrticaWeb

IL CORONAVIRUS E LA VOGLIA DI STARE INSIEME                        di Daniela Alibrandi 

E’ già successo almeno tre volte negli ultimi sessantadue anni, eppure ce l’abbiamo fatta. Dall’album di famiglia spuntano reminiscenze dell’epidemia di poliomielite che, zitta zitta nel lontano ’58, fece ben 8.000 vitttime in Italia. La memoria di un fagottino portato via da casa di corsa e di signori protetti da mascherine in volto, che praticavano punture a tutta la famiglia. Il ricordo appannato di una ragazzina che non giocò finchè non tornò quel fagottino a casa guarito, miracolato si disse.

E poi ancora nel ’76 quando in un’estate bollente, ma strana, esplose la legionella o legionellosi e mieté centinaia di vittime prima in America, tra i reduci legionari che si erano riuniti in un convegno, e poi in tutto il mondo. Si ipotizzò che dipendesse da un virus presente nella carta utilizzata nel congresso americano, ma poi si scoprì che si trattava di un batterio ed era nell’aria e nell’acqua. Il pericolo si annidava nei condotti di aria condizionata o nelle cipolle delle docce poco usate, addirittura nelle fonti idriche, perfino quelle termali. Di nuovo il terrore e l’angoscia.

Ancora, negli anni ’80, si scoprì che esisteva l’Aids. Per la verità già si conosceva, ma presente solo in zone endemiche, soprattutto in Africa. Eppure imparammo che non era il caso di fare l’amore senza protezioni, che anche un bacio poteva portare alla morte, che era un male pericoloso per tutti, poichè con i contatti intimi e le trasfusioni si poteva diffondere. Non era più un flagello destinato a determinate categorie o in circoscritte aree del pianeta. Negli spot televisivi iniziammo a vedere il contorno viola attorno a figure umane e, per un bel po’, ci sembrò di scorgere quel minaccioso limite viola anche attorno a chi ci stava vicino sull’autobus, nella metro, al supermercato. Ne era avvolto addirittura chi ci chiedeva di uscire o cercava di carezzarci, di baciarci.

E adesso il Coronavirus, anzi il Nuovo COVID 19, che fa ancora più paura scritto così. Stavolta la sfida è bella dura, anche perchè la confusione è tanta. Abbiamo infatti l’impressione che ci si stia ritorcendo contro tutto il castello di carte che siamo riusciti a costruire negli anni, legiferando senza lungimiranza. Adesso sì che servirebbero tutti gli infermieri e i medici che hanno dovuto lasciare questo meraviglioso Paese per lavorare all’estero. Adesso sì che sarebbe utile uno snellimento burocratico. Semplici e amare constatazioni che non hanno un colore politico.

Posso solo dire che negli anni abbiamo sempre vinto. Dopo l’epidemia di polio del ’58 l’Italia e Roma in particolare divennero, negli anni ’60, la culla della dolce vita. Dopo aver conosciuto e temuto l’Aids, siamo consapevolmente tornati a baciarci liberamente, senza più notare quella striscia viola tra noi e chi ci sta vicino. Abbiamo ripreso a sdraiarci sui prati, a ridere e a stare insieme, ironizzando su tutto come solo noi italiani sappiamo fare.

Ora sembriamo gli untori d’Europa, quelli che forse ingenuamente sono stati troppo trasparenti e scrupolosi rispetto ad altri. Ma siamo un popolo fiero, abbiamo sempre resistito e vinto. Perchè se è vero che l’italiano si sa adattare, è anche vero che sa dimostrare la forza della sua storia e della sua civiltà.

Adesso, con le scuole chiuse e il divieto di stare insieme, riscopriremo forse la bellezza delle feste in famiglia, delle serate con gli amici. Scopriremo che gli eventi culturali non sono poi così noiosi, che era bello toccarsi e non solo con il piede, che fino a ieri un abbraccio forte, fortissimo, era capace di darci coraggio e speranza. E scopriremo che il web, le chat, i post e i Mi PIACE possono farci ancora sentire una vicinanza virtuale, ma non dovranno mai più sostituire i rapporti umani. Forse riscopriremo  la carezza, l’amicizia, la voglia di stare insieme. L’aspetto positivo da trarre anche in questa infausta occasione sarà il saper dominare la rete, e non esserne dominati.

Perchè la gente italiana è gente tosta, e il mondo se ne accorgerà ancora meglio nel futuro, quando nonostante tutto l’Italia, come una bellissima donna affascinante, elegante e gentile, tornerà ad attrarre senza timori chi oggi la isola. Le sue piazze brulicheranno ancora di appassionati corteggiatori, le sue antiche fontane appagheranno amanti sempre più assetati e le sue bellezze naturali saranno di nuovo una mèta ambita. E tutti saranno accolti senza rancori, perchè la gente italiana è così, è gente tosta.

Pubblicato da OrticaWeb

 

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