UNA MORTE SOLA NON BASTA - Le numerosissime recensioni

Il Mangialibri, recensione a “Una morte sola non basta”


Recensione di Serena Adesso per Il Mangialibri:

Una morte sola non basta è un libro estremamente duro. La storia di Ilaria e Michela è narrata con estrema nitidezza, senza lesinare sui particolari più atroci e più crudeli delle mille sofferenze e dei mille e mille abusi a cui le due bimbe prima – e le due adolescenti dopo – saranno sottoposte dai loro familiari. La famiglia medio-borghese italiana degli inizi degli anni Cinquanta è scardinata, divelta: nessuna felicità è mai possibile negli schemi rigidi e falsi del perbenismo del nostro Paese e dietro l’immagine di “normalità” si celano mostri. Lo stile della Alibrandi è diretto, quasi che voglia colpire sempre e comunque allo stomaco del lettore.

Cicca qui per leggere tutto l’articolo… http://www.mangialibri.com/libri/una-morte-sola-non-basta

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LE NEWS

L’Antico Caffè Greco rischia la chiusura… e si perde un altro pezzo di storia


Amo Roma, la sua storia e le sue inimitabili atmosfere. A Roma e ai suoi angoli segreti ho dedicato molte pagine dei miei libri. l’Antico Caffè Greco di Via Condotti è stato interprete di un capitolo del mio libro “Nessun segno sulla neve”(Premio Circe 2013). In questo locale storico e affascinante si incontrano infatti il protagonista Francesco, che somiglia in modo incredibile a Dustin Hoffman e Milena, la ragazza da lui amata disperatamente nel Sessantotto, ai tempi del liceo e della contestazione giovanile. All’epoca Milena non aveva ricambiato il suo sentimento, ma ora, dopo molti anni, Francesco si trova davanti una splendida donna matura:

Capitolo XXII

Sono in via Condotti  e sto fissando l’entrata del Caffè Greco. Sono le dieci e quaranta, mi sono mosso con parecchio anticipo,  perché  è molto che non vengo al centro di Roma. Ho lasciato l’auto in un parcheggio a pagamento e ho continuato a piedi, vista la giornata piena di sole. L’aria comincia a essere fresca e frizzante, e devo dire che mi sento veramente bene, se non fosse per la morsa allo stomaco con la quale mi sono svegliato.

Guardo l’antica strada dove c’è un via vai incredibile di gente. Facchini indaffarati a scaricare velocemente le merci, professionisti vestiti di tutto  punto che attraversano  frettolosi con la valigetta in mano e  camminano  gettando uno sguardo  preoccupato all’orologio mentre, poco più in là, contrasta la vista di mendicanti che cercano l’attenzione di chi non ha più né voglia né tempo di considerarli. Di Milena neanche l’ombra. Aspetto ancora una decina di minuti poi mi decido a entrare. Occuperò  un tavolo in una posizione discreta e sorveglierò l’ambiente prima che lei arrivi.

Entrando  mi assale un forte e gradevolissimo odore di caffè e di dolci appena  sfornati. Mi sembra di aver aperto la porta del tempo, tanto è intensa l’aria di “belle epoque”  che trasuda  questo posto. I tavoli posti su un lato con tovaglie sobrie ma caratteristiche, l’arcata che conduce  nella sala più riservata dove ci sono due grandi specchi leggermente scuriti dal tempo, quadri di gusto appesi alle pareti insieme a quelli dove fanno sfoggio le firme di attori, registi e personaggi vari, che si sono seduti e hanno bevuto in questo stesso posto. Non poteva esservi una scelta migliore per il luogo del nostro incontro.

Mi siedo dando le spalle all’arcata e anche allo specchio, poiché guardare  la mia immagine riflessa, oggi, non mi piace. Il cameriere si avvicina osservandomi un po’ incuriosito, forse pensa che io sia Dustin Hoffman e la cosa sarebbe perfettamente  in tono con l’ambiente. Mi chiede in inglese cosa può servirmi e io, in italiano, gli rispondo che sto aspettando  una signora e che ordinerò non appena lei sarà qui.

Sono le undici passate da dieci minuti  e comincio veramente a sentirmi in imbarazzo quando ad un tratto, riflessa nella cornice di un quadro di fronte a me, vedo l’immagine che aspettavo: Milena. Mi volto solo di profilo e lei a passi lenti raggiunge il mio tavolo. Mi alzo e finalmente ci troviamo uno di fronte all’altra

– Ciao – le dico con una voce tremante,  che non riesce a nascondere  l’emozione, mentre  le porgo  la mia mano fredda.

– Ciao Dustin, che mani fredde che hai! – dice stringendomi  la mano dapprima  con una sola delle sue, poi con entrambe, come a riscaldare la mia. Quel gesto mi aiuta a sciogliere l’impaccio che sento forte dentro e fuori di me e riesco a effettuare il gesto galante di spingere  indietro  la sedia per  farla sedere. La guardo ed è sempre bellissima. Indossa un tailleur grigio, con la giacca attillata e la gonna leggermente svasata. Al collo e ai polsi della giacca fa un bell’effetto una striscia di pelliccia nera mentre,  dalla sua apertura, si intravede una magliettina scollata che mette in mostra un bellissimo décolleté. Le sue gambe sono velate da calze leggermente scure e indossa degli stivali di camoscio nero con il tacco non molto alto. Poggia la sua borsetta di vernice nera su una sedia vicina alla sua, in silenzio. I capelli color mogano sono tagliati all’orientale, con una frangia e un carrè deciso, che arriva all’altezza del mento. Due orecchini neri lunghi, sembrano scendere direttamente dal caschetto di capelli e fanno pendant  con la collana scura, che scende nel canale dei due seni con un effetto di calda morbidezza. I suoi occhi sono truccati in modo da evidenziare la forma a mandorla, e il colore scuro del maquillage fa risaltare l’iride trasparente, troppo chiara per essere definita azzurra o verde. Le sue mani sono curatissime, morbide e affilate; le unghie sfoggiano una perfetta french manicure, pur non essendo eccessivamente lunghe. Il tocco finale lo dà il suo profumo che mi avvolge e mi attira, sconvolgendo tutte le mie aspettative.

Ci guardiamo per un lungo momento, incapaci entrambi di iniziare alcun discorso. Per fortuna arriva il cameriere che, rivolgendosi galantemente a lei, chiede cosa desidera.

– Un cappuccino caldo con sopra un po’ di panna – e poi Milena, rivolgendosi a me:

– E tu Dustin cosa prendi? – Per un attimo mi viene da ridere, scrutando  l’effetto che ha fatto sul cameriere sentirmi chiamare Dustin. Adesso è proprio sicuro che io sia il famoso attore, per cui mi guarda ammiccando, assicurandomi, con quel suo fare professionale, che ha capito chi io sia, ma non lo renderà noto ad alcuno. – The same thing, La stessa cosa – dico, sorridendogli  divertito con quello sguardo che significa «conto sulla tua discrezione». Lui sorride e corre via veloce.

Milena sentendomi rispondere in inglese mi guarda con aria interrogativa e quando  le spiego l’equivoco della mia somiglianza con l’attore, ride divertita. Che bello vederla sorridere. Purtroppo i suoi occhi esprimono sempre la profonda tristezza che ricordavo ma, nell’insieme, si vede che è sinceramente contenta.  Il silenzio, che però subito dopo scende cupo tra di noi, rischia di far fallire il motivo per cui sono qui, quindi mi faccio coraggio e ingrano quella marcia in più, che varie volte mi ha salvato nella vita.

– Sei meravigliosa Milena, fai quasi impallidire il ricordo che avevo di te – forse ho cominciato male, ma non conta. Le voglio dire tutto quello che mi sono tenuto dentro per anni.

– Trovo bene anche te, sai? – Non è facile per lei, lo sento, ma dobbiamo affrontare la cosa insieme. Coraggio, ci vuole coraggio e io lo raccolgo tutto per pronunciare ciò che da anni avrei dovuto dirle: – Miena, per anni non ho dormito ripensando alla sera…

Disponibile in ebook ai seguenti link di Amazon e Kobo Mondadori:

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https://www.kobo.com/it/it/ebook/nessun-segno-sulla-neve

E in cartaceo: https://danielaalibrandi.wordpress.com/category/dove-acquistare-i-miei-libri/

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ARTICOLI LIBERA-MENTE, I Miei Racconti, LE NEWS

“La Generazione Mancante”


Non è lontano il futuro nel quale gli anziani…

LA GENERAZIONE MANCANTE

Una giornata di sole come non se ne vedevano da tempo nella vallata. Finalmente un vero accenno alla primavera dopo i vani tentativi di un sole stanco. Era il sedicesimo quarto del 2089. Roberto si era alzato presto, la riunione sarebbe iniziata di prima mattina e lui avrebbe dovuto concludere la fusione della Ditta da lui amministrata in Eurasia con quella gemella di Oltreoceano. Lui sentiva però nell’aria qualcosa di strano, che lo infastidiva, lo avvertiva anche ora che inspirava con gusto quell’aria mite. Nonostante ciò, il sole lo stava mettendo di buon umore e, ancor più, lo avevano rallegrato i tanti auguri giunti per il suo compleanno. Aveva iniziato la banca a farglieli, imprimendoli nel display delle transazioni online, poi gli si erano materializzati sullo schermo virtuale e tridimensionale, che occupava una parete dell’ampio salone di casa. Li aveva perfino letti sull’ordine telematico degli alimenti per la cena e, insomma, dovunque si fosse trovato a utilizzare il suo cartellino magnetico. Quel pass par tout, rigido e di un colore rosso vermiglio, gli era stato assegnato alla nascita e aveva accompagnato tutta la sua crescita, perfino l’entrata a scuola, in chiesa e nelle discoteche. Era stata la sua garanzia di appartenenza alla società che si era creata dopo l’Avvento dei Giovani. Le strade, delimitate da campi magnetici, registravano la sua entrata nel proprio settore, perfino i centri commerciali gli spalancavano le porte scansionandone gli estremi e, grazie ad esso, lui non aveva mai incontrato difficoltà. La nuova società, con le sue ferree regole e la sua capillare organizzazione, rappresentava un’indiscutibile certezza. I giardini, perfettamente curati e di dimensioni precise, sfoggiavano tutti la stessa piacevole gamma di colori, il ciclo dell’immondizia era strutturalmente diversificato e i rifiuti riutilizzati, le strade terse e senza tracce di rifiuti organici. Nella nuova dinamica sociale ognuno aveva la sua giusta collocazione, esattamente come tutto ciò che lo circondava. Senza contare che gli imprevisti erano stati quasi azzerati e perfino i fenomeni naturali, per quanto estremi, riuscivano a essere governati. Insomma, dopo l’Avvento tutto aveva ritrovato il proprio ordine. E ora lui, alla soglia del suo sesto decennio, sapeva che sarebbe finalmente entrato nella fase del miglioramento, una nuova e sconosciuta dimensione dove erano transitati coloro che lo avevano preceduto. Sarebbe stata una sorta di Nirvana, così dicevano le nuove scritture. Nei micro cip di storia veniva descritto dettagliatamente il fallimento della società degli anziani, ciò che aveva preceduto il nuovo assetto. E la vecchia società, caotica, sporca e inefficiente era ormai un lugubre ricordo che l’umanità doveva solo aborrire. Lui, come tutti, conosceva una famiglia collettiva, composta da persone giovani, che lo avevano cresciuto e formato fino a farlo divenire manager della Ditta. Pigiò, come tutte le mattine, il suo cartellino rosso sulla costola sottostante il muscolo pettorale sinistro, dove sarebbe rimasto per l’intera giornata, calamitato dal micro cip inserito sotto pelle, contenente i suoi dati. Aveva dimenticato pochissime volte di compiere quel gesto, ma ciò che ne era conseguito aveva fatto sì che divenisse per lui un’azione normale, come il fatto di  respirare. Si era trovato infatti impossibilitato anche ad accedere al suo stesso bagno, così come alla cucina o alla piscina coperta dove, anche oggi, avrebbe fatto una corroborante nuotata.

E dopo la consueta immersione si preparò per andare al lavoro. Quella sarebbe stata una giornata storica per l’economia mondiale e la sera lui avrebbe festeggiato andando a fare una visita nella vicina Città del Sesso. Gli piaceva ogni tanto recarsi in quella sorta di villaggio pulito e controllato, che si ergeva non lontano dalla grande metropoli, dove si poteva sfogare con naturalezza qualsiasi istinto. Sorrise pensando a come vi si sarebbe divertito e rilassato e, mentre si spalmava il dopobarba, avvicinandosi allo specchio che ingrandiva i particolari del suo volto, non volle far caso alle piccole e incipienti rughe attorno agli occhi. Canticchiando, diede un colpetto di spazzola ai capelli leggermente brizzolati, preoccupandosi solamente di vestirsi in fretta. Mancava poco all’arrivo della sua auto. Scese al piano sottostante per bere la colazione calda che trovava puntualmente ogni mattina, così come previsto dal suo piano alimentare, preparata dalla cuoca e cameriera messa a sua disposizione dalla Ditta. Con sua enorme sorpresa non trovò la giovane donna alta, capelli rossi e braccia energiche e, ancor peggio, non c’era neanche la colazione. Irritato per quello che era il primo ritardo in tre anni di servizio della donna, si avvicinò al piano di cottura per scaldare un po’di caffè, ma anche questo sembrava non rispondere ai suoi comandi. Non partiva neanche l’energia suppletiva prevista in quei casi. <<Ma cosa diavolo sta accadendo?>> si chiese, infastidito dai contrattempi a cui non era abituato e tanto meno preparato. Guardò l’ora. Mancavano quindici minuti alle otto. Ormai l’autista doveva essere arrivato. Pensò che avrebbe chiarito tutto al ritorno e si avvicinò alla porta d’ingresso, prendendo la valigetta nera contenente il computer e alcuni documenti.

Uscì e l’aria dolce della primavera, carica dell’essenza di fiori nuovi, invase le sue narici e tutto il suo essere, facendogli dimenticare i noiosi inconvenienti. Respirò a pieni polmoni e tornò a considerare, soddisfatto, che quello era un grande giorno. Volse lo sguardo alla strada sicuro di trovarvi l’auto ad attenderlo, ma non c’era nessuno. Era troppo. Prese il cellulare e una voce sibilò nel suo orecchio “Auguri di buon compleanno!” clak. Niente più, solo l’insolito vhuu di una linea sconnessa. La sua mano andò meccanicamente a cercare il cartellino rosso, che stava come sempre al suo posto. In tutta la sua vita non gli era mai capitato quello che stava avvenendo quel giorno. Poggiò in terra la valigetta e vi si sedette sopra. Portò le mani alla testa e affondò le dita tra i capelli. Improvvisa la visione di un’auto scura e veloce, priva dei contrassegni della Ditta, attirò la sua attenzione. Dalla vettura scesero due giovani, che indossavano le divise dell’Autorità Interna e si dirigevano verso di lui, sorridendo.

 “La società dell’Avvento le augura buon compleanno!” Roberto sorrise, forse era tutto uno scherzo, messo in atto per fargli una sorpresa. I due uomini, della medesima altezza, indossavano lo stesso modello di occhiali da sole e sfoggiavano un identico taglio di capelli, uno biondo e l’altro castano. Si avvicinarono.

“Ci può favorire il cartellino rosso?” Roberto li guardò esterrefatto. In vita sua non se ne era separato neanche un attimo.

“No, perché mai?” rispose indignato.

“Non si preoccupi, fa solo parte delle procedure di transizione!” disse il biondo. Roberto pensò che fosse meglio accondiscendere alle loro richieste, soprattutto perché si stava facendo tardi.

“Eccolo” disse seccato, staccandolo dalla pelle che ricopriva il suo costato. Il biondo lo passò al moro, che lo inserì in un contenitore, dal quale ne tirò fuori uno identico, ma nero.

“Da oggi in poi dovrà utilizzare questo, esattamente come ha fatto con il rosso”.

 “Ma…” tentò di ribattere Roberto.

“Non c’è nulla da aggiungere, proprio come ha utilizzato finora il rosso. E buon proseguimento!” gli dissero all’unisono i due mentre, sorridendo, velocemente tornavano all’auto. La vettura scomparve in breve all’orizzonte.

 “Ma…” tornò a dire Roberto sottovoce, rivolto alla strada deserta, che come una lingua scura scendeva verso la vallata. Tutto ciò aveva dell’incredibile, pensò, mentre posizionava il cartellino nero dove fino a poco prima pendeva quello rosso. Doveva cercare di contattare la Ditta, ci sarebbe stata una spiegazione plausibile. Cercò di rientrare in casa, ma l’uscio non si aprì. Roberto iniziò a ridere nervosamente, si sedette sui gradini e accese il computer, si sarebbe messo in contatto con la sua segretaria. Sul desktop risaltava un grandissimo augurio di buon compleanno, ma non esistevano più i suoi file e non c’era alcun tipo di collegamento. Stupefatto iniziò a sudare, si allentò il nodo della cravatta. La giornata iniziava a essere maledettamente calda, e quel sole che tanto lo aveva rallegrato ora stava rendendo lo scenario addirittura ossessivo. Lasciò la valigetta con il computer sul ciglio della strada, si tolse la giacca, la ripiegò sull’avambraccio e iniziò a camminare.

Finalmente la città, con le sue vie terse e ordinate, attraversate da veicoli a lui familiari. Tutto riprendeva il giusto spessore e lui godeva nel vedere il traffico silenzioso e ben pianificato. Venne colto dal profumo dell’aria cittadina, dove innumerevoli vite correvano senza fare rumore e producevano quel benessere comune a cui anche lui tanto aveva dedicato della sua esistenza. Raggiunse il punto di trasporto dove una serie di autovetture attendevano solamente l’arrivo del passeggero. Le osservò compiaciuto. Erano automobili piccole di dimensioni le cui ruote, dallo pneumatico sottile e con un ampio cerchione sgargiante, davano un tocco di eleganza. Tutte, anche se ognuna di colore diverso, possedevano il lunotto posteriore dal design leggermente ricurvo, che scendeva verso una targa fosforescente, i cui numeri e lettere cambiavano ogni trenta secondi. La numerazione si sarebbe fermata solo quando il passeggero avesse sfiorato la portiera dell’auto, facendo così scansionare il suo cartellino. Roberto si stava finalmente rilassando, gli sembravano già lontani tutti gli imprevisti che avevano caratterizzato il suo risveglio. Volle notare, quasi ipnotizzato, il susseguirsi degli elementi identificativi delle targhe XA23981, WZ956N0, YCDEV762. Ogni trenta secondi esse mutavano aspetto e colore e lui provò qualcosa di molto simile a un capogiro. Decise di salire sulla macchina di colore grigio che aveva di fronte. Si avvicinò alla portiera, ma il meccanismo informatico non riconobbe il suo cartellino. Di nuovo tornava l’incubo.

Preso da una frenesia incontenibile si portò verso gli sportelli delle altre vetture. Niente, nessuna si apriva al suo contatto. L’ultima, nera di colore, invece, emise il suono di aria compressa che faceva scattare la serratura. Prima di salire Roberto volle sincerarsi che anche i numeri della targa si fossero bloccati e così era, AWXF43521. Salì, finalmente confortato, nell’accogliente abitacolo, e si sedette sul divanetto in pelle che, con la sua forma di comodo semicerchio, prendeva quasi la totalità dello spazio interno. L’autovettura, munita di motore elettrico e senza conducente, disponeva anche di una cloche a mezzaluna e di un sedile anatomico, che garantivano la possibilità del passaggio ai comandi manuali in caso di necessità. Sul video del cruscotto si materializzò la scritta “Buon Compleanno!” e una voce metallica esortò Roberto a impostare l’indirizzo di destinazione sulla tastiera che, salendo contemporaneamente dal pavimento, si era già posizionata alla sua destra. Mentre una cintura di sicurezza avvolgeva automaticamente il suo torace, lui sorrideva, pensando che la procedura di transazione era costellata di sollecitazioni particolari. Senza indugio impostò l’indirizzo della Ditta e l’auto iniziò il suo percorso. Era tanto tempo che Roberto non si serviva del trasporto urbano e gli stava piacendo molto vedere l’efficienza e l’eleganza dei particolari meccanismi di cui l’autovettura era dotata. La tastiera con l’indirizzo era sparita velocemente e, al suo posto, si era materializzato un contenitore di acqua. Lui bevve di cuore, anche se la climatizzazione dell’auto non gli faceva più soffrire la calura esterna. Fuori dai finestrini oscurati scorrevano gli edifici e il paesaggio della sua città, mentre il suo viaggio continuava in quell’involucro morbido e ovattato.

Il computer di bordo materializzava sul display la distanza rimanente per giungere a destinazione e il tempo necessario per percorrerla, la temperatura esterna e quella interna e le previsioni meteorologiche per le successive ore. Quando tutto sembrava ormai rientrato nella normalità, Roberto si accorse che non appariva più l’indirizzo della Ditta come destinazione del suo viaggio. Anzi sul monitor si susseguivano scritte a lui incomprensibili. Guardò spaventato fuori dal finestrino e si accorse che il paesaggio esterno stava rapidamente cambiando, mentre lui non riconosceva più i luoghi che, veloci, sfrecciavano davanti ai suoi occhi esterrefatti. L’auto si fermò e il meccanismo ad aria compressa aprì la portiera. Sul monitor apparve la scritta Benvenuti a destinazione e la cintura di sicurezza liberò il suo corpo. Roberto si gettò sul pulsante che permetteva il passaggio ai comandi manuali, ma sul video apparve il messaggio Accesso Negato, Accesso Negato, che continuò a ripetersi finché lui non poté fare altro che scendere. L’auto richiuse lo sportello e corse via velocemente.

Si trovava fuori dalla città, ai limiti della foresta che attorniava l’agglomerato urbano. Una brezza sottile muoveva dolcemente le chiome degli alberi e lui notò, all’imbocco della strada sterrata, un interminabile tapis roulant, che fendeva come una lenta spada il costato della selva. Vi salì, non sapendo più quale sarebbe stata la sua reale meta. L’odore rorido del sottobosco lo avvolse, accogliendolo. Alla fine, si trovò a deambulare per un sentiero sterrato. Ormai era quasi sera e anche la terra che lui calpestava pesantemente emanava un odore umido. Vide in lontananza dei fuochi e vi si diresse, senza un perché. Nell’avvicinarsi incontrava delle figure sconosciute. I loro tratti umani risultavano molto diversi da quelli a lui noti. Capelli canuti, sguardo perso nel vuoto, solchi scavati in volto. Si sedette vicino al fuoco, era esausto. La donna di fronte a lui, la cui magrezza era messa in risalto dai lunghi capelli bianchi, penetrava con il suo sguardo chiaro le alte lingue della fiamma.

“Dove mi trovo?” le chiese con tono implorante. Lei sorrise, si alzò e gli si sedette vicino.

“Hai fame?” La sua voce era dolce e melodiosa, ma ciò non leniva la sua disperazione.

“No, non ho fame, non ho sete, voglio solamente sapere dove mi trovo!” La donna gli carezzò i capelli.

“Sei tra noi, non sapevi che esistevamo vero?” Roberto la guardò meravigliato e chiese ancora:

“Ma chi siete voi?” Il tono che aveva usato era quasi schifato e rabbioso, ma la donna sorrise indulgente.

“Siamo gli anziani o, se preferisci, i vecchi”. Roberto la fissò con le pupille dilatate. Non poteva essere, quelli di cui la donna stava parlando avevano fallito e la società si era liberata di loro già da molto, moltissimo tempo.

“Cosa mi stai dicendo, vecchia!” esclamò, sottraendosi alla sua carezza. Senza modificare il tono di voce, la donna continuò:

“Non mi credi, vero? Ma guardati attorno, vedi più niente che ti sia familiare?”

Roberto volse lo sguardo in giro. Era vero, non riconosceva quel mondo. Si sentiva sfinito e la donna gli fece poggiare la testa sulla sua spalla mentre, continuando a parlare, riusciva di nuovo a carezzargli i capelli.

“Vedi, noi siamo la generazione mancante”. Roberto, incantato da quella voce, seguì con inspiegabile fiducia il suo racconto. “La generazione che è stata soppressa per il bene dell’umanità”

“Com’è possibile?” Chiese lui. La donna sorrise amaramente e andò avanti:

“Giunse un tempo nel quale i sistemi previdenziali saltarono e gli anziani dovettero lavorare fino alla morte. I giovani, condannati a lavori sempre più insicuri, se poi riuscivano a trovarne, e nell’impossibilità di progettare la loro vita futura, vedevano i vecchi occupare non solo il mondo lavorativo, ma anche tutti i posti di potere. E la scienza utilizzata per garantire loro una sempre maggiore aspettativa di vita. Gli anziani governanti non capirono in tempo quale frattura sociale si stesse creando e gestirono il potere senza saggezza, facendo sempre maggiori danni, con la sola preoccupazione di non dar spazio a quella generazione. La collera di quei ragazzi crebbe e con rabbia essi si organizzarono in incontenibili rivolte di massa. Accadde l’imprevedibile. Le due generazioni si scontrarono selvaggiamente e le città si riempirono di morti. Una guerra lacerante, le cui conseguenze furono inimmaginabili. La nuova generazione ebbe la meglio e ciò che seguì fu una spietata caccia all’anziano. Per le strade, nei quartieri e, dovunque ne trovassero uno, le esecuzioni erano immediate, plateali. Non vi fu neanche la pietà dei figli verso i padri, era ormai solo una questione di sopravvivenza. Una volta preso il potere, i giovani misero in campo tutte le loro energie e potenzialità, e riuscirono a creare una società organizzata diversamente, finalmente ordinata e funzionale, cercando soprattutto di non ripercorrere gli errori che erano stati fin lì compiuti. Tutto, ogni singola azione venne programmata e controllata con la creazione di reti informatiche sempre più capillari e sofisticate, sai i giovani ci sapevano fare con i computer! I vecchi, invece, furono quelli che pagarono lo scotto maggiore, all’inizio eliminati, poi spinti ai limiti della società, resi invisibili e infine dotati del cartellino nero”.

La mano di Roberto andò meccanicamente al suo costato. Lei gli sorrise consapevolmente e gli domandò:

“Anche tu ne hai uno, vero?” Roberto la guardava incredulo. Nella sua civiltà non esisteva il termine vecchio. I deputati del suo Parlamento avevano meno di trent’anni, così come il Sommo Pontefice, che ne aveva compiuti da poco ventisette. Di cosa stava parlando quella donna?

“Cosa stai dicendo, vecchia! La vostra società ha fallito, ce lo hanno insegnato, sai! Non siete riusciti in niente! Gli alimenti ormai erano veleni e l’immondizia non veniva più raccolta. Nelle città la gente poteva respirare solo con l’aiuto di maschere filtranti e la corruzione era divenuta la vostra regola. Siete perfino riusciti a distruggere l’equilibrio naturale, avete disboscato le foreste e avvelenato il mare! Quello sì che è stato il vero massacro. La vostra società aveva fallitooo!” le gridò con veemenza. Lei lo guardò impassibile.

“Può darsi ma, insieme a questo sfacelo, noi possedevamo dei valori insostituibili. La conosci tu la vera passione, hai mai provato il calore della famiglia, con i nonni che raccontano le favole ai nipotini, sai cosa sia un nonno?” No, Roberto non lo sapeva, Iniziò a sentire dei brividi, la notte si preannunciava fredda e lui si stava sentendo perso in un mondo di vecchi, che non credeva esistesse. La donna continuava a parlare:

“Molti di noi tentano a volte di prendere il mare a bordo di zattere, poiché si dice che nell’Oltre Mediterraneo esistano ancora delle società tribali rispettose degli anziani, che li accettano e li venerano perfino, ma nessuno mai è tornato per rassicurare gli altri che ciò sia vero. Anzi, a volte le onde hanno riportato a riva i loro cadaveri!”

Roberto era in preda a un delirio mentale, che non gli lasciava alcuna lucidità e si guardò attorno. Il sentimento nuovo che stava nascendo in lui lo stupì. Era una grande, incommensurabile pena. Molti individui si scaldavano attorno ai fuochi, chi tossiva, chi si asciugava gli occhi, per le lacrime dovute forse all’invecchiamento delle loro cornee. Tutti però cercavano di incoraggiarlo, sorridendogli. Nei loro sguardi non c’era automazione, ma esperienza, il loro sorriso non trasmetteva soddisfazione, ma consapevolezza. Dai loro movimenti goffi e lenti, così lontani da quelli veloci ed efficienti a cui lui era abituato, traspariva un’immensa, abissale amarezza. Un uomo dalle mani rugose, le cui vene sembravano schizzare fuori dalla pelle raggrinzita e macchiata, gli porse una ciotola con dell’acqua e Roberto bevve avidamente. Il suo sguardo andò al quadrante del suo orologio, che lo informava costantemente dei valori vitali, compresa l’idratazione delle sue cellule, ma ora vi si leggeva solo una scritta fosforescente: Buon compleanno! Stordito tornò a poggiare il capo sul seno della vecchia e si addormentò al ritmo del suo cuore. L’odore di quella pelle era diverso e sapeva di fiori e di antico, quella scorza ruvida e solcata emanava un inebriante calore, nascondendo un’intima e accogliente morbidezza. E lui liberò la mente in un mondo onirico, che confondeva la luce con le tenebre. Vide chiaro, come illuminato da un lampo, il sottile confine esistente tra ragione e follia. Anche lui ora sarebbe dovuto sparire alla vista dei giovani, senza possibilità d’appello. Ci sarebbe stata sempre una generazione mancante per pareggiare quel disumano conto. Sognò della sua realtà, di se stesso, ora vecchio confuso in mezzo ai vecchi. E provò una immensa angoscia per quella società di giovani, priva dei valori che forse non avrebbe più potuto assaporare. Lui ora ne conosceva il significato e il valore. Ne era stato appena avvolto e già sentiva di non poterne fare più a meno.

Alla fine non furono neanche più i sogni ad agitarlo e cadde in un sonno profondo, al ritmo del cuore antico che sentiva battere vicino a lui.

E mai risveglio fu più dolce per Roberto. A destarlo furono il cinguettio degli uccelli e i tiepidi raggi di un sole nuovo. Era rimasto stretto al corpo della vecchia per tutta la notte e, al contrario di ciò che aveva temuto, non aveva sofferto il freddo, accanto al fuoco che ancora ardeva lì vicino. L’odore di fresca rugiada e di corteccia umida invase le sue narici, infondendogli una forza sconosciuta e inaspettata. La vecchia era già sveglia e, mentre lui scrutava i dintorni, lei lo osservava curiosa, come se aspettasse qualcosa dai suoi gesti e dal suo sguardo. Alla luce del sole non le sembrava più che appartenesse all’uomo perso che aveva addirittura rifiutato le sue carezze la sera precedente.

Lì intorno dormivano gli anziani, chi su giacigli di fortuna, chi sotto improvvisati ripari, attorcigliati a coperte annose, che sembravano essere tessute con l’amarezza del loro percorso. Colpi di tosse giungevano come portati da eco lontane. E lui per la prima volta in vita sua sentiva di avere una scelta, di poter decidere del suo destino che, adesso, non era più preordinato e finalmente non doveva rispondere a regole precise e rigide.

Si alzò e stirò le membra, accorgendosi che all’orizzonte di intravedeva una striscia di mare azzurro. Già si imbastiva l’eterno dialogo tra le onde e la miriade di gabbiani, che disegnavano voli festosi nei colori pastello dell’alba. Roberto provò un brivido intimo, profondo, e capì che adesso dipendeva solo da lui. Molti di quei vecchi si stavano svegliando e tutti lo guardavano come se gli stessero silenziosamente chiedendo un segnale, un impulso.

Si avvicinò al fuoco e lo ravvivò, poi staccò dal suo costato il cartellino nero e ve lo gettò. Le fiamme si levarono e sembravano anch’esse felici di annientare quel simbolo odioso. Uno dopo l’altro le donne e gli uomini dai capelli bianchi, dalla pelle rugosa e dal respiro affannoso si avvicinarono al fuoco e vi scaraventarono, chi con rabbia e chi con rassegnazione, il cartellino nero. Il crepitio delle lingue di fuoco sembrò un tripudio e, senza parlare, i vecchi raccolsero da terra le poche cose che continuavano ad essere importanti per loro, un indumento, una foto, qualche oggetto.

Tutti lo osservavano e Roberto vide nei loro occhi la fiera determinazione che tornava ad animarli. Porse il braccio alla vecchia addosso alla quale aveva trascorso la notte e si incamminò verso il tapis roulant che l’aveva trasportato fino a lì il giorno precedente. Il meccanismo adesso era fermo, programmato per muoversi in un’unica direzione, non ipotizzando che avrebbe potuto essere utilizzato addirittura per tornare.

E Roberto provava un’eccitazione nuova, il mondo stava per riscoprire i valori essenziali alla crescita del genere umano. Finiva lì il conto disumano che, per pareggiare, aveva avuto necessità di cancellare almeno una generazione. Lui ora sapeva che i giovani avrebbero compreso ciò che finora non avevano capito e cioè che senza gli anziani sarebbe sempre mancata l’altra metà dell’universo profondo che plasma i sentimenti umani.

Non c’era timore, ma solo voglia di tornare in quella folla che ordinatamente camminava ora, percorrendo a ritroso quel crudele percorso. Le loro figure colpite dalla forza del sole nascente erano più solide e ben definite, anche se lasciavano sulla terra umida ombre sempre più lunghe ed evanescenti.

                                                                                                                     Daniela Alibrandi

*  *  *

Questo racconto è stato pubblicato da un mensile della RAI, dal settimanale L’Ortica del Venerdì, inserito nell’antologia “Mezzaluna”, pubblicata da Veledicarta insieme ai racconti scelti dal cantautore Eugenio Finardi. Il racconto fa parte dell’antologia “I Doni della Mente”, tradotta nell’edizione inglese “Echoes of the soul”, disponibile ai seguenti link di Amazon e Kobo Mondadori.

https://www.kobo.com/it/it/ebook/i-doni-della-mente

https://www.amazon.it/DONI-DELLA-MENTE-Racconti-Pensieri/dp/1521363919

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I DELITTI NEGATI - recensioni, LE NEWS

Una recensione intensa quella di Alessandra de Antoniis


E già, certi delitti vanno proprio negati Commissario, esclamarono il vecchio frate e la cara suor Rose …..
E se lo dicono loro, bè, in nome di Dio, SI!, vanno negati …. Senza rimorsi, senza il bisogno del perdono sebbene  sia questo quello che è scritto nella Bibbia sotto il Testamento di Gesù.
Ma, c’è sempre un ma …..ed ecco immancabile affiorare lo straordinario talento della scrittrice, a stupirci ancora una volta per la suà genialità.
Rosco è un commissario che non siede tra gli uomini giusti. La storia nasce intorno al suo personaggio. Non è un buon poliziotto, tantomeno un buon marito. Un  individuo che nessuno vorrebbe nella propria vita. Un capo burbero ed egoista, con i suoi giovani sottoposti, con sua moglie e forse anche con se stesso …. Uno che viola il suo giuramento e cade nel piacere con una donna sua indagata. Rimosso dall’incarico e dalla vita matrimoniale. Un vero e proprio stronzo, insomma. L’uomo sbagliato in un sacco di posti sbagliati.
Al tavolo da gioco, seduto di fronte c’è il giusto. C’è la fede. C’è un modesto commerciante di oggetti sacri, c’è Rodolfo, un ragazzo di bottega a cui sono negati gli affetti sin da bambino. C’è la fragile Suor Rose, una ragazza un tempo, anche lei, in grado di perdonare un tradimento d’amore tanto da avvicinarsi all’amore di Dio.
L’esito della partita è già scritto, e man mano che le pagine scorrono come le manches di un poker, la scrittrice ci fa credere tutto ciò che invece non sarà.
Lei, attraverso una voce fuori campo ci dà qualche avvisaglia … ce lo dice che forse non è tutto secondo le scritture. Ma lo dice sottovoce, per poi tornare a confermare quello che credevamo all’inizio. I buoni sono i buoni e i cattivi anche.  Ed il lettore lo crede fermamente, almeno finchè non arriva  quel 31 dicembre. Cosa ho pensato allo scoccare della mezzanotte: cara Daniela, hai voluto dare una fine in una fine!  Quello che resta nella mente del lettore? L’attesa di scoprire cosa accadrà a partire dal primo gennaio.
Ecco la Daniela Alibrandi che conosco, colei che sovverte le apparenze, i luoghi comuni, le storie che lei stessa prima scrive e poi  cambia, lasciando il lettore disorientato.
E Suor Rose? Non posso dire a chi ci ascolta chi è suor Rose. Di certo è una donna e come tutti i personaggi della scrittrice, ha in se tutto ciò che la Alibrandi ha sempre detto delle Donne, nel bene e nel male, sono la fonte di tutte le passioni, come lo è Marilena, che vince la partita con il suo destino per ritrovare un uomo, un amore da accudire, da educare ed in cui trovare protezione.
I delitti negati è sì un poliziesco, è sì un triller, è di certo anche un racconto moderno, ma soprattutto è la storia di istinti e sentimenti che si intrecciano, è la brutalità di alcuni profeti : “Mio dio, non mi pento e non mi dolgo dei miei peccati e con tutto il cuore ti offro il giusto castigo che ho inferto. So che cosi facendo, non ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Signore, Misericordia, aiuta la mia anima eletta!”
Nei delitti negati, non c’è un protagonista, saranno i lettori che sceglieranno ognuno il proprio.  Buona lettura!
 
 
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E arrivo’ il fatidico primo giorno di scuola, il 7 ottobre 1969


La scuola allora iniziava il sette ottobre, il subbuglio prendeva la strada dove sorgeva l’edificio scolastico, ma anche le vie limitrofe. Nessuno poteva immaginare cosa sarebbe avvenuto di lì a poco:

Dal Capitolo XIII di “Nessun segno sulla neve”(Universo Edizioni), Premio Letterario Circe 2013

E arrivò il fatidico primo giorno di scuola, il sette ottobre  del 1969. La mia vita non sarebbe mai stata più la stessa dopo quel giorno. Mi svegliai presto al mattino e mi vestii con gli abiti nuovi, che i miei mi avevano comprato per la promozione e mi sentivo veramente fico mentre mi preparavo. La verità era che con l’estate non ero cresciuto poi molto, ma la mia so miglianza con Dustin Hoffman, con quell’espressione da ragazzo bravo e ingenuo, sapevo che cominciava a piacere alle ragazze. Per cui, dopo essermi spruzzato una dose massiccia di profumo, uscii di casa con l’abbraccio orgoglioso e pieno di pathos di mia madre, con l’unico scopo di arrivare presto e bene a scuola. Per la paura di sgualcirmi gli abiti o di arruffare i capelli, decisi di andare con il mezzo pubblico  e non con il motorino. Non mi ricordavo più cosa fossero i mezzi pubblici.

Gonfio di emozione per l’inizio della scuola, scesi all’imbocco di via Nistri. Attorno era pieno di ragazzi, chi a piedi e chi col motorino,  che si avviavano verso il liceo e io, felice di far parte di quella rapsodia di voci e di emozioni, captavo stralci di discorsi dei gruppi di ragazzi che si avvicinavano alla scuola:

– Ho trovato la versione integrale di Only one woman – Ma quale, quella dei Marbles? – Io invece ho l’album dei Beatles, devi sentire che ficata Ballad of John and Yoko – Davvero? Un giorno me la presti?

Quanta ottima musica era stata prodotta in quell’estate, solo io non avevo potuto comprare tutti gli album che avrei voluto, ma ero troppo gasato per starci a pensare su. Mi avvicinai a un gruppetto  di tre ragazze cercando di origliare la loro conversazione:

–  Ma  l’hai riconosciuto,  quello  è  Gianni,  Dio quanto s’è fatto bono! Hai visto mi ha salutato, ciao Gianni! – Io camminavo da solo ma non importava; sapevo che presto o tardi qualcuno mi avrebbe riconosciuto e chiamato. Infatti, di lì a poco: – Ciao Dustin, siamo tutti qui? – quella era la voce di Alba, ma guardandola  non la riconoscevo. Accidenti, era più alta, più magra, senza baffi, con una bella minigonna e con un trucco  sugli occhi, che definirei un tantino pesante: eyeliner nero sotto e sopra le palpebre, rimmel nero esagerato sulle ciglia superiori e quelle inferiori disegnate sottili e lunghe, per poi finire con le labbra quasi bianche. E anche le altre ragazze che le stavano vicino erano più sofisticate e quasi irriconoscibili.

Tutte  portavano,  piegato sul braccio, quel tristissimo grembiule nero che le avrebbe rese totalmente uguali e indesiderabili, ma adesso erano uno spettacolo! Nuccio, che stava ovviamente in mezzo a loro e troneggiava alto, con i folti capelli neri, sopracciglia e occhi mediterranei, mi venne incontro, mi mise un braccio sulle spalle portandomi  un pochino distante dal gruppo  e mi disse sottovoce: – Quest’anno  non sarà difficile raggiungere l’obiettivo del pompino non ti pare? – Stavo per scoppiare a ridere, ma non volevo certo che le ragazze capissero che si parlava della loro bocca. Mi sottrassi al suo abbraccio e tornai verso il gruppo, che nel frattempo aveva raggiunto quasi la totalità dei ragazzi della nostra  classe, tutti felici di rivedersi. Naturalmente le due cozze secchione dell’anno prima non avevano subito cambiamenti di alcun genere anzi, nei mesi a venire, sarebbero divenute anche peggio, finché si sarebbero unite al gruppo nascente di femministe e avrebbero  fatto capire, alzando spesso le mani a triangolo sopra la testa, che la fica se la sarebbero gestita da sole; tanto chi di noi ci avrebbe provato? Notai anche un paio di ragazzi, tra quelli che non si erano mai uniti a noi nelle bravate dell’anno prima, che erano rimasti inesorabilmente bambinoni.  Mentre entravamo attraversando il piccolo cortile che dal cancello portava all’entrata dell’edificio, nessuno di noi poteva pensare  che saremmo stati tutti vittime di lì a poco degli sconvolgimenti politici e sociali di quegli anni e che mai più saremmo stati così ingenuamente e autenticamente felici di rivederci.

https://www.amazon.it/NESSUN-SEGNO-SULLA-Nuova-Edizione-ebook/dp/B01M4JNG4V

 https://www.kobo.com/it/it/ebook/nessun-segno-sulla-neve

https://www.mondadoristore.it/NESSUN-SEGNO-SULLA-NEVE-Daniela-Alibrandi/eai123000345554/

Il libro è uscito dodici anni fa e l’edizione cartacea è disponibile solo in alcuni punti venndita, elencati di seguito, tra cui la redazione della casa editrice Universo Editoriale che lo ha ripubblicato nel 2015 nella nuova edizione impreziosita dai dipinti di Carlo Grechi:

Dove acquistare “NESSUN SEGNO SULLA NEVE”

 https://www.edizioniuniverso.it/daniela-alibrandi/

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Come promesso “Nessun segno sulla neve” da oggi è su Kobo!


Come promesso “Nessun segno sulla neve” da oggi è su Kobo! Era il grande assente tra le mie pubblicazioni nella immensa libreria di Rakuten Kobo…auguro una buona lettura a chi aspettava questo libro già da un po’!

https://www.kobo.com/it/it/ebook/nessun-segno-sulla-neve?fbclid=IwAR2iKaT4ENT4mF7nSG6Kunwmh0Co2WOa_oRwvQVD2HO8VQjDvCnK6BBzmtY

Il Sessantotto, con le sue passioni e le sue disperazioni politiche, fisiche, amorose. Si rivive insieme a loro, pagina dopo pagina, con quei ragazzi che animarono un’epoca tanto significativa. “Nessun segno sulla neve”, Premio Circe 2013, tradotto nell’edizione inglese, inserito in catalogo presso l’Italian & European Bookshop di Londra, un libro che lascia il segno!

 

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“Nessun segno sulla neve”, nel suo nuovo restyling, sarà presto su Kobo


Il mio primo romanzo, “Nessun segno sulla neve” (Edizioni Universo), in anteprima col suo nuovo look, quello con il quale sta per essere pubblicato anche su Kobo. Dopo aver vinto premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Circe 2013, dopo essere stato tradotto nell’edizione inglese, alla quale si sono interessati più di cinquanta blog letterari statunitensi, dopo essere stato inserito in catalogo presso l’Italian & European Bookshop di Londra, dopo essere  diventato un best seller di Amazon Italia, Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Giappone… bene, dopo tutto questo sarà tra pochi giorni disponibile anche per i lettori di Kobo. Quindi, Buona lettura!

   SINOSSI

Un thriller psicologico, la cui trama inizia ai giorni nostri e porta a un avvenimento criminoso mai risolto, avvenuto nel 1968, quando il protagonista del romanzo frequentava il liceo. Questa storia, che sembrava dimenticata e sepolta, torna ad essere improvvisamente e drammaticamente attuale per lui, ora brillante e stimato medico oncologo di mezza età, quando in un caldo e pigro pomeriggio settembrino, si diverte a navigare in internet insieme al figlio. Aiutato da quest’ultimo, infatti, entra in un importate network e si imbatte nel profilo della ragazza che amava disperatamente in quegli anni, dalla quale purtroppo non era mai stato ricambiato. E’ l’inizio di un viaggio interiore intriso di profonda nostalgia, ricordi e passioni, che porterà il suo destino a intrecciarsi in modo imprevedibile con quello della ragazza, divenuta ormai una donna matura. Il romanzo offre un affresco fedele e nostalgico della vita italiana durante quegli avvenimenti sociali e politici, che segnarono in modo indelebile un’intera generazione. Ad arricchire il racconto una trama gialla che, partendo da un episodio criminoso avvenuto allora, termina con un finale imprevedibile al giorno d’oggi.

In ebook immediatamente disponibile su Amazon al seguente link:

https://www.amazon.it/NESSUN-SEGNO-SULLA-Nuova-Edizione-ebook/dp/B01M4JNG4V/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=23AZ56GMMXRYY&keywords=nessun+segno+sulla+neve&qid=1569945487&s=books&sprefix=nessun+segno+sulla+neve%2Cstripbooks%2C183&sr=1-1

In cartaceo presso La Feltrinelli, IBS e nelle librerie fiduciarie:

https://www.lafeltrinelli.it/libri/daniela-alibrandi/nessun-segno-sulla-neve/9788890963421

https://www.ibs.it/nessun-segno-sulla-neve-libro-daniela-alibrandi/e/9788890963421

A TUTTO LIBRO:

Via acquedotto del Peschiera, 118 – Roma nord, 80

ALTRO QUANDO:

Via del Governo Vecchio, 80 – Roma centro

ARION PRATI:

Via PIER Luigi da Palestrina, 1 – Roma prati

ASSAGGI:

Via degli Etruschi, 4 – Roma est

Oppure direttamente alla casa editrice: info@edizioniuniverso.it

 

 

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