IL COMPAGNO AMARO (Vincitore del concorso letterario nazionale Il Volo di Pegaso, bandito dall’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato nella raccolta relativa al concorso)
Mi piaceva baciare mio marito, tanto. Sapevo che potevo sfiorare le sue labbra con le mie oppure baciarlo per ore, bere tutto l’amore di cui avevo bisogno. Amavo baciare anche i nostri figli e poi sorridere, ridere di cuore. Adoravo il mio lavoro, tradurre simultaneamente per ore i discorsi degli importanti funzionari della Comunità Europea per cui lavoravo. Sorridevo, parlavo, traducevo e, soprattutto, vivevo. Non potevo certo immaginare che quelli erano i miei ultimi sorrisi e i miei ultimi baci. Cominciò così, in una allegra e spensierata serata di settembre, mentre mi lavavo i denti. Una fitta, incredibilmente dolorosa, a cui non potevo essere preparata, che mi tolse il respiro e i battiti cardiaci per un lungo, interminabile intervallo. Partiva dai denti e prendeva la bocca, la guancia, squarciava il volto, per terminare nella profondità del cervello. Quando riaprii gli occhi, vidi la mia immagine trasfigurata nello specchio, con le labbra contratte in una smorfia di dolore, ma sembrava tutto finito. Terminai di sciacquare la bocca e pensai:”Accidenti, immagina se un dolore simile non se ne andasse mai, ci si potrebbe anche morire!”. Niente in quel momento mi fece capire che il mio destino era proprio quello: soffrire fino a morire. Allora riuscii a sorridere di me stessa e andai a dormire. Niente mi fece presagire di aver iniziato la via crucis che avrebbe segnato tutta la mia vita successiva. Se avessi guardato meglio nello specchio avrei visto l’ombra del compagno amaro che mi stava scivolando accanto, per non lasciarmi mai più: il dolore.
<<Qui ci vuole un bravo dentista!!>> pensai quando, la mattina dopo percorrendo l’Aurelia a velocità sostenuta, il dolore tornò a squarciarmi il volto, all’improvviso, senza dare alcun segno premonitore. Avevo rischiato di essere tamponata dall’auto che mi seguiva veloce e vicina quando, dovendo chiudere gli occhi e non capendo più nulla dalla violenza di tale sintomo, avevo sterzato all’improvviso, cercando di accostare al ciglio della strada, dopo una breve sbandata. Terrorizzata, frastornata ancora da ciò che avevo provato e dai clacson delle auto che mi redarguivano, mi guardai nello specchietto retrovisore. Due lacrime mi scendevano dagli occhi e il dolore non se ne stava andando via come la prima volta. Accidenti, continuavo a sentirlo, anche se più sordo, come un cane che mi stesse morsicando la guancia destra. Non dovetti attendere molto per risentirlo…
Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link:
questo racconto è commovente, mi fa capire che bisogna vivere il presente e goderne appieno , perchè il domani può riservare cose non piacevoli
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Hai perfettamente ragione Silvana, bisogna saper godere di ogni momento,non è certo infatti che se ne avranno di simili anche nell’immediato futuro. Io aggiungerei che bisogna stare molto attenti ad avere il rispetto delle proprie potenzialità.Lo si legge chiaramente nel corpo del racconto. La protagonista infatti segue un percorso professionale difficile, ha due figli da crescere, un marito e una casa da seguire, un ingranaggio che gira attorno ad un unico perno, cioè lei. Non a caso negli anni successivi non viene trovata alcuna causa patologica al suo sconvolgente disturbo. Io credo che il male difficile da perdonare sia proprio quello che riusciamo a fare a noi stessi.
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