Tutti la deridevano quella donna ben vestita, dalle labbra carnose dipinte di rosso, i capelli nero corvino e con ai piedi delle rumorose ciabatte. Arrivava la mattina presto, anche di domenica e i suoi pesanti passi echeggiavano nel quartiere, così come i canti che intonava una volta raggiunta la sua destinazione. Gli abitanti della zona detestavano ormai la sua figura grossa, i suoi occhi vividi e il modo prepotente che aveva di disturbare il loro riposo, anche nei giorni di festa. La donna portava con sé uno sgabello, sedendosi sul quale ogni tanto si riposava. Senza averne avuto il permesso o il compito lei aveva preso a coltivare la terra di nessuno, come la chiamavano i residenti, un lembo di suolo posto al crocevia delle strade del quartiere. Se la giornata era calda, lei tornava anche al tramonto e lasciava in un angolo di quel piccolo terreno i suoi arnesi da giardinaggio. Zappettava e irrigava con l’acqua che prendeva dalla fontanella, poi si sedeva sul seggiolino di legno ad ammirare come il suo lavoro stesse trasformando quella terra arida… e cantava forte. Non ci volle molto che venisse chiamata da tutti “la matta”.
In ogni villaggio c’è un pazzo, e in ogni comunità è quello che da fastidio…
Il racconto fa parte dell’antologia “I doni della mente” al seguente link: